Quacchio '60. Il #dono di Natale

Il percorso non era esattamente corto. La sua abitazione, infatti, rappresentava il confine della parrocchia a un tiro di schioppo dal vecchio ponte di San Giorgio. Ma fu bello uscire di casa con i genitori e il fratellino coperti fino alla radice dei capelli perché il freddo, quella notte di Natale, era intenso e il Volano ghiacciato: così l’aveva visto il giorno prima aprendo il portoncino del muro di cinta del piazzale della vetreria e aveva sbirciato sull’argine del fiume.

Gelo dappertutto quella notte, dunque, e pungente odore di neve. Luna splendente lassù, un cuore felice. Mano nella mano con i suoi.

Alla nuova casa (ci abitavano da appena un anno) si era abituato in fretta: più spaziosa “e impegnativa”, ammoniva ma con malcelato orgoglio la madre, faceva tutt’uno con l’azienda del padre: cristalli e specchi, taglio e posa in opera.
La quinta elementare continuava a frequentarla in centro, non lontano dalla sua vecchia abitazione, all’ “Alda Costa” dove il maestro Roboni, due baffi importanti, una passione per i Promessi Sposi e un cuore grande così, insegnava con capacità e amore.

Quacchio era dunque la sua nuova parrocchia, immersa in una sorta di “campagna non campagna” con case di nuova fattura mischiate a non pochi casolari immersi, fino a pochi decenni prima, nei frutteti addossati al Volano. E sulla sinistra, appena dietro la fila di villette liberty, c’erano le antiche mura estensi spettatrici di una storia lunga e profonda.

La mamma lo aveva accompagnato nella nuova chiesa e gli aveva fatto conoscere il parroco, don Antonio: grande devozione, attivismo sfrenato, cinema la domenica con vendita di more di liquirizia e uno sguardo non esattamente allineato.

Frequentando l’oratorio gli fu facile stringere amicizie: Pietro, Gabriele...Ping pong a go go, calcino fino a sfinire e tanto football fra gli spazi della chiesa. Già, la chiesa: ma quale chiesa? La guerra, finita da una quindicina d’anni, aveva duramente colpito quella zona della città. Un ammasso di pietre testimoniava ancora la durezza della vita con le sue malvagità: tragici bombardamenti avevano distrutto quella casa di Dio e degli uomini. Verrà il giorno che la ricostruiranno? Si era chiesto preoccupato più di una volta.

Camminando nel silenzio appena interrotto da qualche frase dei genitori, pensava alla trascorsa primavera, a maggio, quando percorreva la stessa strada per recarsi al fioretto non di rado in ...trasferta nel più lontano oratorio di via Prinella. Sia all’andata che al ritorno faceva piacevolmente tappa davanti a un paio di prugni da cui raccoglieva aspri quanto gustosi “rusticani”. Poi via: era ora di raggiungere don Antonio nel capannone provvisorio adibito a chiesa. Lì aveva ricevuto Cresima e prima Comunione e aveva conosciuto la comunità parrocchiale. Per questo era affezionato a quella vecchia costruzione, forse un magazzino di frutta, certamente di uso agricolo.

Ma lui preferiva una chiesa vera, non un ripiego; ordinata e piena di luce, magari calda e coi banchi lucidati.

La Messa iniziò. Don Antonio salutò tutti col sorriso, anzi con un sorriso doppio. Era Natale, tempo di gioia.
Una gioia che scaturì dall’omelia: il Bambino, la pace, la serenità, la speranza. E una certezza terrena: presto sarebbero iniziati i lavori per la nuova chiesa , esattamente dove sorgeva la vecchia.
Si sentì felice come quel giorno che fece un gol in rovesciata, anzi di più. E tornando a casa, mano nella mano con la mamma e il fratellino, sentì che il dono di Natale l’aveva già ricevuto.

Parola del Natale 2: DONO - segue

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Ultima modifica: Mar 24 Dic 2019