La vera emergenza della #povertà (anche dei giornalisti)

Cos’è il Natale? Su carta, una Sacra Carta scritta circa duemila anni fa, il Natale dovrebbe essere quel periodo dell’anno durante il quale si diventa più buoni. Aprendo il cuore al prossimo, aiutando le persone in difficoltà, compiendo atti di gentilezza, altruismo e solidarietà. E invece no.

Oggi il Natale è diventato la festa, per antonomasia, del lusso sfrenato, ingrassa i ricchi e affama i poveri, perdendo la sua connotazione originale di pace e amore, trasformandosi nell’ennesimo atto mondano, nell’ennesima sfilata di moda, nell’ennesimo schiaffo in faccia alla povertà.

Il primo esempio viene dai dati italiani sugli sprechi alimentari: nella spazzatura ben 500 mila tonnellate di cibo, ovvero il 41% di quello acquistato. In prima linea frutta e verdura, seguite da latticini, carne e pane, numeri da pelle d’oca se si pensa che nel Bel Paese sono quasi due milioni le famiglie indigenti, circa 5 milioni di persone in condizioni di povertà assoluta che per Natale non potranno permettersi nemmeno di assaggiare un panettone e che per Natale non hanno neanche un tetto sotto il quale festeggiarlo.

E’ il pensiero in questo Natale va ai tantissimi giornalisti che, in pochissimi mesi si sono ritrovati licenziati e senza un lavoro, cadendo nella povertà. Secondo alcuni studi i nuovi poveri sono i giornalisti e quanti operano nella comunicazione. Ogni giornale che chiude aumenta la povertà giornalistica e culturale. Negli ultimi anni in Italia sono spariti dalle edicole certo alcuni quotidiani effimeri e giornali di nicchia, ma anche realtà importanti della stampa nazionale. E altre stanno chiudendo le redazioni periferiche o di corrispondenza.

Dal 2010 ad oggi i maggiori editori di quotidiani hanno ridotto l’organico di quasi un quinto, tagliando circa oltre seimila persone tra impiegati, operai e redattori, mentre l’Inpgi, l’istituto di previdenza dei giornalisti, registra un calo evidente. Certo, ogni giornale ha una sua storia aziendale e culturale, ma le ripetute crisi nel mondo della stampa non sono casi isolati di aziende in difficoltà.

Quello che è a rischio, ha scritto l’Autorità per le Comunicazioni in un’approfondita analisi dell’evoluzione del mondo del giornalismo in Italia, è il finanziamento dell’intero sistema dell’informazione. Per un paio di secoli i giornali sono andati avanti secondo un modello di business che grosso modo ha sempre funzionato: le redazioni producono ed elaborano notizie e analisi, i lettori pagano per leggerle e le aziende pagano per comprare spazi pubblicitari da affiancare agli articoli. Dal momento che non sempre il denaro che arriva da lettori e inserzionisti basta a coprire le spese (e in Italia, come in altri paesi mediterranei poveri di lettori, questo è sempre accaduto di rado) la stampa si è abituata a contare su altre entrate. Non è detto che questo scenario sia inevitabile: le imprese e i giornalisti stanno cercando di trovare soluzioni nuove per reagire, il governo sta ripensando le modalità per sostenere il settore. Così si chiudono e, magari la notizia della chiusura arriva il giorno di Natale, giornali, redazioni mettendo a rischio intere famiglie che si ritrovano sul lastrico e tutto di un colpo povere.

Nell’era della comunicazione in tempo reale resiste, ed in alcuni casi tende addirittura ad aumentare, la povertà culturale ed educativa. L’Agenda Onu 2030, tra i suoi 17 obiettivi, mette al primo posto “Porre fine alla povertà in tutte le sue forme”, compresa, quindi, anche la povertà culturale ed educativa. Il concetto viene meglio esplicitato dall’obiettivo 4: “Offrire un’educazione di qualità, inclusiva, e paritaria e promuovere le opportunità di apprendimento durante la vita per tutti”. L’interesse e l’attenzione riservata a tale problema dall’Onu stanno ad indicarne la gravità e la diffusione del fenomeno. Sarebbe, però, fuorviante pensare solo ai Paesi in via di sviluppo. La povertà culturale, infatti, riguarda anche i Paesi cosiddetti civili. Anche nel nord del mondo residuano delle sacche più o meno ampie in cui sono presenti condizioni in grado di indurre povertà culturale, giornalistica ed educativa.

E allora affidiamo la nostra povertà umana, spirituale, giornalistica e culturale al ‘Salvatore del mondo’, un bambino partorito in una stalla, dondolato in una mangiatoia, riscaldato da un bue e da un asinello, figlio di due profughi cacciati via da tutte le locande e le taverne del paese, eppure ‘Re del mondo’. E allora noi che siamo giornalisti e comunicatori cerchiamo di mettere a nudo tutte le povertà giornalistiche e culturali che vengono ignorate spesso dalle istituzioni a tutti i livelli, e cerchiamo di non svendere mai la dignità umana che servirà, in questo Natale, a riprendere il bandolo della matassa. Auguri!

Ultima modifica: Mer 1 Gen 2020