La rivoluzione della #gentilezza, che il presepio mette in scena

Il presepio è una rappresentazione gentile. Ognuno ha il suo posto e non usa la prepotenza per conquistarne uno migliore – e magari saltare la fila. Ognuno fa il proprio mestiere, e rispetta quello degli altri. Ognuno aspetta il momento giusto, il raggio di luce, la parola salvifica, senza pretendere di avere tutto e subito.

Giuseppe veglia sulla propria famiglia, senza cercare di conquistare il centro della scena. I Magi fanno la loro scelta politica – potremmo dire di disobbedienza civile – senza sfruttarla in chiave propagandistica. Te li immagini – questi personaggi che condividono un tempo e un luogo, ma probabilmente non si conoscono – che si salutano, si offrono un sorso d’acqua, si scambiano parole sommesse. Tutti diversi, ma con un obiettivo comune: partecipare ad nuovo inizio.

Quando ero giovane, non apprezzavo la gentilezza. O almeno una certa gentilezza: quella che allora era sinonimo di galateo, cortesia un po’ ipocrita, indifferenza. Quel modo di rapportarsi agli accadimenti e alle persone attraverso una «celia devastante ricamata con il filo del riguardo» (Alice Munro, “La vita delle ragazze e delle donne”, Einaudi 2018), strutturalmente parte di quella “morale borghese”, in cui ciò che contava era l’apparenza, non la sostanza. Quella morale che, in quei lontani anni settanta, noi giovani contestavamo con passione, tanto quanto, o forse di più, le visioni politiche che su di essa si fondavano.

Oggi ho riscoperto il valore della gentilezza. E non solo io: a volte ho l’impressione che sia tornata di moda, ma comunque è una buona moda. Nell’era del rancore e dell’invidia, dell’hate speech e dell’insulto inconsulto, la gentilezza ha ritrovato una legittimazione sostanziale, sia nella sfera privata che in quella pubblica. Da elemento da contestare, è diventata essa stessa strumento di contestazione della cultura maggioritaria, che rischia di diventare dominante.

Per questo ci sono campagne on line contro il linguaggio offensivo e violento, come Parole O_stili, ci sono progetti nelle scuole, c’è persino una Giornata Mondiale della Gentilezza (il 13 novembre). Tanto che bisogna stare attenti a non banalizzare, perché la gentilezza non si identifica con il galateo, anche se le buone maniere possono aiutare. Non si limita al fare ogni tanto un gesto di accondiscendenza verso gli altri (non parliamo di fare una gentilezza, ma di essere gentili), anche se è vero che si esprime attraverso tanti piccoli gesti quotidiani.

Essere gentili vuol dire mantenersi disponibili ad ascoltare l’altro, per cercare di rispondergli, invece di limitarsi a parlargli addosso. E, quindi vuol dire tenere presenti le esigenze altrui, oltre alle nostre, e quelle dell’ambiente, dei beni comuni, della memoria da custodire. Essere gentili vuol dire avere fiducia: negli altri, nei valori in cui crediamo e che vorremmo trasmettere e condividere, nella giustizia e nella possibilità di costruire un futuro sostenibile. Significa, in sostanza, adottare uno sguardo sereno – che poi è contagioso: chi riceve gentilezza, in genere diventa più gentile.

Quando faceva il presepio, mio padre metteva in fondo, sulle montane brulle, il lupo, l’orso, le bestie feroci. Un’antica tradizione famigliare derivante, credo, dai vangeli apocrifi. Per me, comunque, era un monito: la serenità del presepio non ignora le difficoltà della vita, i conflitti espliciti o latenti, le trappole lungo il sentiero. Il presepio non è una bolla in cui rifugiarci nonostante la storia. Il Natale è la storia.

La gentilezza non è lo stile di chi si riunisce a prendere il tè con i pasticcini nelle tazze di porcellana, in una casa ben scaldata e lontana dal traffico. Non è una fuga, una chiusura in un mondo dorato che non esiste. È la scelta culturale di affrontarlo, il mondo con i suoi problemi, con le armi della ragione, della cultura, dell’ascolto e del dialogo. Della non violenza opposta all’aggressività verbale e non. Della verità opposta alla propaganda. Della mobilitazione responsabile per il bene comune opposta allo scatenare le folle contro il nemico di volta in volta costruito.

È quindi una scelta, oltre che culturale, politica, che potrebbe fare la rivoluzione in tutti i luoghi della vita civile, dalle riunioni di condominio ai talk show televisivi. Una scelta non per i deboli, ma per i forti.

Ultima modifica: Sab 4 Gen 2020