Un messaggio che va oltre i giornalisti

Riportiamo ancora un commento al messaggio del Papa per la Giornata delle Comunicazioni Sociali, diffuso il 24 gennaio. Nelle parole di Andrea Meldoia c'è anche la constatazione che i suoi destinatari non sono, non possono essere, soltanto i giornalisti (ar) 

Andrea Melodia

Mi emoziona leggere un documento pontificio che parla di narrazione e di storytelling, e che mette in relazione questi termini contemporanei con il bene dell’uomo e della società umana. Un testo, come avviene sempre più negli ultimi anni, che dovrebbe essere studiato da tutti, anche da chi non crede.

L’uomo è un essere narrante”. Lo è ciascuno di noi, e ciascuno di noi è cresciuto e continua a crescere con “fame di storie come abbiamo fame di cibo”. Lo è ciascuno di noi, quando costruisce la memoria di sé raccontando se stesso. Un “tessuto”, un “ricamo”, che segue una struttura narrativa, nella quale non devono mancare gli eroi che combattono il male. Lo è ciascuno di noi, anche quando racconta come scelta di vita professionale: come comunicatore, come autore, come giornalista.

Ci si può chiedere a chi sia dedicato prioritariamente il messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali 2020, dal bel titolo “Perché si possa raccontare e fissare nella memoria. La vita si fa storia”.
Se parliamo di comunicazioni sociali il pensiero va subito ai comunicatori professionali; però sappiamo che oggi tutti possono comunicare socialmente. Un messaggio dunque rivolto a tutti, ma che diviene discriminante di vita per chi, comunicando per professione, non si sia perduto nella anoressia etica, quali che siano le sue convinzioni e il suo credo.

Possiamo chiederci ancora: sono i giornalisti i primi destinatari? Risponderei: sì e no.

, perché non può esistere un giornalismo senza narrazione, e dunque un buon giornalismo deve contenere una buona narrazione: buona non perché racconta solo cose buone o perché segue le regole dello storytelling, ma perché guarda al benessere del singolo uomo e della società cui è rivolta. Mettere il microfono davanti a un politico perché dica la sua per 25 secondi non è narrazione, e dunque non è giornalismo. Raccontare i fatti di cronaca solo per diffondere paure irrazionali non è buona narrazione e non è buon giornalismo.

No, perché narrare come professione non è pratica solo dei giornalisti. Questi hanno una limitazione in più, per quanto essenziale: devono fare narrazione solo di ciò che, al livello massimo della loro coscienza, è riferito alla verità fattuale. Sappiamo bene quanto entrambe queste condizioni spesso non vengano rispettate. Ma non è questo il punto: raccontare le “meraviglie stupende” della vita, perché la vita si faccia storia, è compito di tutti, perfino di chi pratica le terre scoscese del genere fantasy tanto caro ai giovani oggi. Niente di tanto lontano dal giornalismo, ma capace di formare l’esperienza almeno altrettanto.

Anche a loro, e a tutti coloro che esercitando l’invenzione narrativa plasmano la vita e la storia, a ogni età, è dunque destinato il messaggio di papa Francesco.
A noi giornalisti, il compito di diffonderlo evitando la tentazione di appropriarcene in esclusiva.

Ultima modifica: Sab 25 Gen 2020