Gli infiniti silenzi di Vallombrosa per tornare ad essere fonte attendibile e voce profetica - #ioinformo

Vallombrosa è un luogo senza tempo. Per me è anche il posto più bello del mondo. Un assaggio di paradiso. Con la sua foresta immensa e silenziosa, Vallombrosa è un grande corpo vivente che ti abbraccia con la sua ombra rassicurante e che, con i suoi infiniti silenzi, parla: al cuore, alla testa, all’anima. Bisogna stare zitti per imparare a sentirlo e per apprendere una lezione che, nel tempo difficile e doloroso che stiamo vivendo, può esserci di grande aiuto.

Ma andiamo con ordine: Vallombrosa, che si trova nella fascia occidentale dell’Appennino toscano e fa parte del territorio comunale di Reggello in provincia di Firenze, è da sempre meta di riflessione, di riposo e di spiritualità con la meravigliosa Abbazia dei monaci vallombrosani ed il cosiddetto circuito delle Cappelle. Ma Vallombrosa sa essere anche spazio di incontro, di comunicazione e di movimento, crocevia ed anello di congiunzione tra le province di Arezzo e di Firenze, tra il Casentino ed il Pratomagno, tra il Passo della Consuma e le graziose località di Secchieta e Saltino, soprattutto tra le terre del Valdarno e della Valdisieve di cui Vallombrosa costituisce il polmone verde ma anche l’anima ed il cuore.

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Da qui parte la cosiddetta via vallombrosana che oggi arriva fino a Pelago, borgo medievale e rinascimentale della Valdisieve, da sempre terra di artigianato, agricoltura e talenti, che nel 1378 dette i natali a Lorenzo Ghiberti. Un tempo questa via conduceva fino a Firenze e ad altre parti della Toscana ed era segno di lungimiranza nonché fonte di ispirazione. Perché era nata da una grande intuizione, quella che nel 1039 indusse San Giovanni Gualberto a rifugiarsi proprio nella foresta vallombrosana per fondare la Congregazione vallombrosana: dalla preghiera misteriosa e potente di quell’abbazia sorge questa via antica e sempre nuova, spirituale prima che materiale, che scende verso valle e parla al cuore dell’uomo.

È di questa voce che il genere umano ha bisogno adesso: Vallombrosa al tempo del coronavirus è sempre lì, imponente e solida, ancora più silenziosa e per questo prodiga di consigli per chi sa entrarvi in dialogo, anche a distanza. Non è un caso che i monaci vallombrosani si siano sempre caratterizzati per la lotta alla corruzione nella Chiesa e per il ritorno all’Essenziale, la meditazione, l’amore per la natura e la tutela del creato tanto da essere definiti “monaci forestali”, proprietari e custodi della foresta per oltre 800 anni, dal 1039 al 1866, e successivamente, nel 1869, fondatori della prima Scuola forestale italiana.

Temi che oggi il coronavirus rende quanto mai attuali, interrogando le corde più profonde del nostro essere: adesso stiamo soffrendo e combattendo, piangiamo le tante e troppe vite sacrificate, restiamo a casa in attesa che questa tempesta, tanto invisibile quanto spietata ed implacabile, passi. Ma questa sorta di eremitaggio del nuovo millennio, a cui siamo costretti, dovrà pur dirci qualcosa. Probabilmente, alla fine di questa guerra impari, dovremo ripartire da tante macerie; ma una grande crisi, come amava dire Einstein, può e deve rappresentare anche un’opportunità: o sapremo ripensare uno stile di vita nuovo, una modalità di relazione diversa, una comunicazione ispirata, un modello di sviluppo davvero sostenibile oppure il futuro non ci riserverà tempi migliori.

Dipende anzitutto da noi. E il nostro mestiere di giornalisti e comunicatori può aiutare tanto. Per essere fonte autorevole e di discernimento. Penso proprio a quei giornalisti che in questi giorni, in un tempo di schizofrenia della notizia, cercano di documentarsi, verificare la fonte, fare un’informazione sobria, completa, che aiuti a capire e a non farsi prendere dal panico. Merce rara di questi tempi. E decisiva per ciò che saremo dopo.

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È proprio per tornare ad un mestiere, che oggi e soprattutto domani sappia indicare la rotta, che dobbiamo ripartire dal silenzio di Vallombrosa. Dalla verità che sgorga dai silenzi della sua foresta, dall’ombra dei suoi abeti e dalla freschezza delle sue acque. Pensate che un tempo Vallombrosa era chiamata Acquabella o Acquabona proprio per i tanti ruscelli, torrenti e rivoli d’acqua che vi scorrevano e che ancora oggi sono una fonte capace di rendere rigoglioso di verde questo pezzetto di paradiso.

Fonte: una parola fondamentale per il giornalismo. Oggi il mondo sembra impazzito perché non sa più a quale fonte abbeverarsi. Ve ne sono migliaia e milioni, il web ne propone di tutti i tipi, tantissime inquinate e velenose. È uno dei mali dei nostri tempi. Noi giornalisti abbiamo bisogno di tornare sempre di più fonte autorevole ed affidabile. Le edicole aperte in questo tempo di chiusure forzate sono un segnale importante, che possono aiutare le persone a distinguere la notizia vera dalle fake news. Che sia un punto di ripartenza. Ma per riconquistare la fiducia di una società, che ha tanta sete di punti di riferimento, proprio noi comunicatori dobbiamo ricordarci chi siamo e da dove veniamo, dobbiamo tornare alla sorgente, dobbiamo ripartire dallo spirito di Vallombrosa.

Perché la ricerca di senso dell’umanità potrà trovare risposte all’altezza dell’infinito a cui da sempre, consapevolmente o meno, gli esseri umani anelano, soltanto se luoghi come Vallombrosa torneranno a parlare al cuore dell’uomo. Il ritiro coercitivo di questo tempo può essere una buona occasione per iniziare. In attesa che questa infame epidemia finisca e Vallombrosa possa riaccoglierci anche fisicamente, per restituirci al mondo rinnovati e finalmente capaci di essere voce profetica per navigare verso mete abitate dalla speranza.

Ultima modifica: Lun 23 Mar 2020