Un antivirus contro le bufale - #ioinformo

Le fake news, o meglio, le bufale, sono come i virus informatici, i malware o le operazioni di phishing. Si insinuano sia in tempo di pace che di guerra, così come nelle situazioni d’emergenza tipo quella in cui è piombato il mondo con il Coronavirus. La professione giornalistica è messa a dura prova e viene richiesta una capacità e una competenza che va al di là della conoscenza degli strumenti digitali. Tutti quotidianamente siamo raggiunti da alert, notifiche e Meme, ossia contenuti divertenti o satirici che vengono diffusi in Rete o tramite chat sotto forma di immagini, video, foto o anche frasi con l’obiettivo di rimanere, appunto, “memorabili”.

Per questo motivo i giornalisti devono avere una marcia in più nella verifica e nel controllo delle informazioni che arrivano in redazione. Occorre fare i conti con una nuova modalità di propaganda e di persuasione che colpisce l’opinione pubblica e gli operatori dell’informazione chiamati più di prima a sviluppare anticorpi capaci di combattere quelle notizie che passano attraverso la viralità e la pervasività dei social media. Se a questo aggiungiamo anche un fenomeno come quello delle infoglut, ossia quel sovraccarico di informazioni che spesso non permette un discernimento critico ai cittadini così come ai professionisti dell’informazione, si comprende bene il contesto in cui si opera.

Nella bulimia di informazioni che passano in Rete attraverso “aggregatori”, app e servizi di messaggistica istantanea, purtroppo, si infiltrano anche voci non confermate e molta disinformazione. Un quadro che accompagna sempre e comunque ogni situazione d'emergenza al di là dell’esistenza dei social network. Solo per fare un esempio, nel 1934, un violentissimo terremoto di intensità 8.1 Richter colpì il Nepal al confine con l’India. Si diffuse velocemente la voce che erano crollati più di 4mila edifici compreso perfino il plesso centrale di un college e quello del tribunale regionale con innumerevoli morti. Tutte notizie non confermate né verificate a dimostrazione che in condizioni di incertezza e di ansia (due coefficienti che accompagnano legittimamente le persone che si trovano ad affrontare crisi umanitarie, pestilenze e calamità naturali) portano la gente a inventare o replicare informazioni non verificabili che, se immesse nel circuito mediatico, possono provocare non pochi danni.

Un fatto, quello del Nepal e dell’India, avvenuto in assenza di internet, di smartphone e reti sociali. E’ chiaro, dunque, che in un contesto socio-culturale caratterizzato dall’innovazione tecnologica e dalle reti sociali, la disinformazione, la propaganda e le fake news vengono amplificati dal mondo del web 4.0. E’ qui che la responsabilità dei giornalisti è direttamente proporzionale all’attività di verifica. La pandemia sta mettendo giornalisti, educatori, studenti e cittadini davanti a una sfida senza precedenti. E se da un lato arrivare ai fatti è un punto cardinale per il giornalismo professionale, dall’altro i media, tutti, ma in particolare giornali e testate giornalistiche on line, devono affrontare eticamente una situazione d'emergenza che coinvolge gli stessi operatori che vi lavorano.

La grande responsabilità dei mezzi di comunicazione sociale è quella di svolgere un “servizio pubblico” nella consapevolezza di essere contributori alla formazione di una coscienza collettiva, capaci di incidere e di condizionare i comportamenti degli individui. Per tale ragione occorrono professionisti dell’informazione capaci di abitare ambienti e di usare strumenti tecnologici adottando misure e azioni in grado di contrastare bufale, di intercettare operazioni di persuasione occulta o peggio di propaganda camuffata da informazione. Per farlo occorre un antivirus, quello che molti esperti chiamano social media strategy, cioè attività di analisi e di osservazione dei fenomeni in Rete volti a discernere quella “infodemia” che può avere ricadute disastrose su operatori dell’informazione e di conseguenza sui cittadini. Come fare?

Gli strumenti non mancano: si tratta di impostare, con metodo, azioni di web e social media policy che organizzano la gestione e la governance dell’informazione in caso di crisi; stilare un web e social media planning delle eventuali azioni di fact-checking; lavorare sul monitoraggio e l’ascolto (auditing) della Rete per capire gli argomenti di tendenza anticipando le false notizie da contrastare. Non basta andare nei siti che si occupano di smascherare le bufale on line oppure rivolgersi ai pur bravi esperti “cacciatori di fake news”.

Ogni giornalista deve essere in grado di poter verificare origine e provenienza di fonti secondarie in modo nuovo per non cadere nelle numerose trappole quotidiane che provengono dal web di superficie e non solo. C'è bisogno di procedure verificate, strumenti affidabili, tecniche collaudate e funzionali. In una situazione d'emergenza come quella che stiamo vivendo le redazioni e gli uffici stampa e comunicazione devono essere capaci di gestire e governare l’emergenza anche sul fronte informativo. Oggi siamo chiamati a un nuovo discernimento. Siamo davanti a un’emergenza sanitaria in cui il giornalismo e l’informazione in generale sono chiamati ad essere punto di riferimento fatto di combinazione tra il fattore umano e quello tecnologico.

Ultima modifica: Lun 30 Mar 2020

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