Come ricostruire l'umano? La responsabilità dei giornalisti (anche di noi giovani)

Andrea è un giobane giornalista siciliano, che a metà febbraio ha partecipato alla scuola di formazione dell’Ucsi ad Assisi. Ha risposto al nostro invito e ha scritto questo breve articolo per la nostra rubrica #allafinestra (ar)

di Andrea Micciché

Domenica delle Palme 2020: siamo introdotti nel mistero pasquale nella prospettiva del Sabato Santo, del deserto, del silenzio. Il dramma dei decessi, dei malati, il martellante bollettino medico, il distanziamento sociale, il dilagare di fake news che fomentano l’odio, le difficili condizioni economiche, sono la pietra che è stato rotolata davanti all’ingresso delle nostre case.

E, se la debole flessione della curva dei contagi può sembrare lo spiraglio di luce, un interrogativo si impone: come ricostruire l’umano?

Una delle frasi più frequenti è “Nulla sarà come prima”, e tanti hanno cerato di indagare sugli scenari, sul potenziale d’apprendimento sociale di questo evento unico nella storia recente. Ma, forse, prima di chiedersi cosa cambierà al di fuori dell’uomo, è opportuno pensare all’oggi, all’effetto dirompente dell’isolamento a cui siamo costretti sul sistema di valori e di relazioni.

Chi più dei giornalisti ha la missione di intervenire sul tessuto umano prima che la solitudine sfoci in dirompente individualismo?

In effetti, escludendo le rare occasioni di uscita per le attività essenziali, l’unico contatto con l’esterno è stato offerto da chi, attraverso gli strumenti di comunicazione sociale, ha colmato le distanze e ha dato un significato alle lunghe giornate di quarantena. Un significato che, a seconda del contenuto trasmesso, può assumere un carattere benefico o nocivo, può aprire scorci o gettare nelle tenebre più profonde.

Gli esiti si presenteranno a breve: una volta annunciata la “fase 2”, con l’allentamento delle restrizioni, chi uscirà dalle case? Una persona pronta a ricostruire legami o un individuo centrato su sé e sulle proprie paure.

Qualche settimana prima che scoppiasse nella sua virulenza il Covid-19, Papa Francesco pubblicava il Messaggio per la XXXV Giornata Mondiale della Gioventù, che cade nella Domenica delle Palme ed è celebrata, quest’anno, a livello diocesano.

Profeticamente, il tema scelto è l’alzarsi: in particolare, il versetto biblico di quest’anno è tratto dal miracolo della risurrezione del figlio della vedova di Nain. Nelle parole di Cristo, “Giovane, dico a te, alzati!” (Lc 7,14), può essere sintetizzata la nostra vocazione professionale. Come operatori delle comunicazioni, soprattutto se animati da un’ispirazione cristiana, non possiamo non sentirci partecipi di quella voce.

Le nostre parole, infatti, non sono divine in sé, ma per partecipazione a quel mistero di bene che si diffonde e si comunica (bonum est diffusivum et communicativum sui, affermava San Tommaso d’Aquino). Il Santo Padre nota come l’evangelista Luca ponga l’attenzione sul fatto che il giovane risorto si mette a parlare, entra in relazione con gli altri.

Le relazioni fisiche che si sono interrotte potranno essere compensate dalle connessioni virtuali? Quale autenticità stiamo salvaguardando? Non si tratta di propagandare positività a buon mercato, diffondere false speranze, anestetizzare la sensibilità, ma di toccare la realtà in ogni sua dimensione, con compassione, per aprire orizzonti.

Vuol dire dare corpo e fisicità al virtuale, umanizzando le connessioni, per renderle comunicazioni.

L’augurio per questa Pasqua è, dunque, assolutamente scomodo: stiamo imparando una dura scomodità dalla pandemia, tocca a noi trasformarla in occasione. L’occasione di essere desti e poter anche noi scrivere le parole della notizia più dirompente della storia: “Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana” (Mt 28,1).

Ultima modifica: Lun 6 Apr 2020

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