La giornata storica di Trieste, il ruolo dei giornalisti per comprenderla e il violento 'sfogatoio' dei social

La giornata del 13 luglio è stata molto importante sia per la minoranza slovena che per il resto della popolazione di Trieste e del Friuli Venezia Giulia, ma ha avuto una vasta eco pure in Slovenia ed in vasti settori dell’opinione pubblica italiana.

Era il centesimo anniversario del raid squadrista contro una serie di istituzioni slovene e slave in genere a Trieste, il più grande emporio marittimo dell’impero austro-ungarico, amministrato dall’Italia fin dal novembre del 1918, ma annesso solo in seguito al Trattato di Rapallo del 12 novembre 1920. Città a maggioranza italiana che nel 1910 contava 191.000 abitanti (più 37.000 “immigrati”, soprattutto italiani), con una minoranza slovena che ammontava a 56.916 anime e diversi altri gruppi etnici e religiosi che la rendevano vivace e cosmopolita. Tali diversità erano però invise al nazionalismo e al fascismo che il 13 luglio 1920 celebrarono a Trieste la loro «notte dei cristalli».

La vittima più illustre di questo «pogrom» fu il Narodni Dom (Casa della Nazione) in centro città, costruito nel 1904 su progetto dell'architetto Max Fabiani, dato alle fiamme e completamente distrutto. Era un edificio moderno multifunzionale, sede di una cassa di risparmio, con sala teatrale, palestra, sala di lettura, scuola di musica, un albergo, due ristoranti e un caffè, sedi di associazioni, studi professionali e appartamenti privati. Fu l’inizio di una stagione di lutti e sofferenze. Vendute le rovine, l'edificio fu ricostruito quale semplice albergo, venne acquistato nel 1978 dalla Regione Friuli Venezia Giulia e donato nel 1981 all'Università di Trieste che, dopo averlo ristrutturato, nel 1997 vi insediò l'allora Scuola Superiore di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori (oggi Sezione di Studi di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori del Dipartimento di Scienze giuridiche, del Linguaggio, dell'Interpretazione e della Traduzione).

Le richieste degli sloveni per riottenere l'edificio rimasero inascoltate fino all'approvazione della legge di tutela della minoranza slovena del 2001 che ha prospettato la possibilità di insediarvi delle istituzioni culturali e scientifiche sia di lingua slovena sia di lingua italiana «compatibilmente con le funzioni attualmente ospitate» e senza previsioni di copertura finanziaria. Con lo scorrere degli anni ed il miglioramento dei rapporti tra italiani e sloveni e tra Italia e Slovenia – fondamentale fu la democratizzazione della Slovenia, la sua indipendenza e la sua entrata nell’Unione Europea - è maturata l'idea di restituire alla comunità slovena l'intero edificio quale simbolo di superamento del passato e strumento di dialogo multiculturale. Lo ha sancito un accordo tra i Ministri degli Esteri dei due paesi, Alfano e Erjavec, nel 2017. Per la sua attuazione si sono spesi i presidenti Mattarella e Pahor ed è stato stabilito di portare a termine tale operazione il 13 luglio del 2020.

 

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La pandemia da coronavirus ha ridimensionato il contorno degli avvenimenti progettati, ma comunque le autorità competenti, a partire dalla Ministra dell'Interno Lamorgese, hanno firmato un protocollo d'intesa sulla restituzione dell'edificio alla minoranza e il trasferimento in sede idonea dei corsi di laurea. Ci vorranno ulteriori adempimenti legislativi ed amministrativi, ma la via è spianata e i due presidenti che hanno presenziato alla cerimonia non hanno nascosto la loro soddisfazione. Hanno colto pure l'occasione per incontrare gli esponenti delle minoranze slovena in Italia e italiana in Slovenia e per consegnare due alte onorificenze al noto scrittore sloveno di Trieste, Boris Pahor, che alla veneranda età di 106 anni è rimasto l'unico testimone oculare della tragedia del Narodni Dom a cui ha dedicato diversi scritti.

La giornata triestina dei due presidenti è però iniziata con una sosta silenziosa e con la deposizione di due corone d'alloro comuni presso due monumenti che simboleggiano le sofferenze delle popolazioni italiane e slovene delle terre di confine: il monumento nazionale della Foiba di Basovizza che ricorda le vittime dei partigiani a guida comunista jugoslava e il cippo che ricorda i quattro giovani sloveni fucilati nel 1930 in seguito ad una sentenza del Tribunale speciale del regime fascista per la difesa dello Stato. L’annuncio di questo gesto di riconciliazione e umana pietà - che non intende far dimenticare le sofferenze patite da una parte e dall’altra, bensì farne patrimonio comune, nel ricordo e nel rispetto, sviluppando collaborazione, amicizia, condivisione del futuro, come ebbe a sottolineare Mattarella - ha suscitato un vespaio di polemiche nei due Paesi, ma chi ha seguito l’itinerario dei due Capi di Stato con cuore aperto non ha potuto ravvisarvi aspetti negativi e secondi fini.

Molto utili per far capire il significato degli eventi del 13 luglio sono state la diretta di RAI 1 delle due cerimonie di Basovizza, condotta e commentata con grande equilibrio, le trasmissioni radiotelevisive locali ed il taglio dedicato a questi argomenti dai maggiori quotidiani. Pesante, invece, il clima di tanti social, sloveni e italiani, che riportano questo tipo di accuse: equiparazione tra vittime e carnefici, riconoscimento di un monumento fasullo, omaggio a quattro terroristi, restituzione indebita di un edificio che cent’anni fa è stato bruciato dagli stessi “slavi” e chi più ne ha, più ne metta. Un gesto coraggioso, quello di Mattarella e Pahor, rivolto al futuro.

* L'autore, Ivo Jevnikar, è stato caporedattore Rai Slovena – sede di Trieste e socio dell'Ucsi Friuli venezia Giulia

Foto: quirinale.it

Ultima modifica: Ven 17 Lug 2020