Non solo il contratto. La sfida (tradita) dei giornalisti degli uffici stampa di Regioni e Comuni

C'era una sfida bella, nel lontano riconoscimento del contratto giornalistico ai giornalisti impegnati negli uffici stampa delle amministrazioni pubbliche, che adesso rischia di apparire sempre più sfumata e che, in ogni caso, avrebbe urgente bisogno di un rilancio. Specie oggi, quando tutti abbiamo capito (forse) l'importanza di uno Stato meno burocratico e davvero amico dei cittadini.

Una sfida che partiva da una premessa o, se si preferisce, da una speranza: sapere che i dipendenti pubblici (chiamati a essere "fonte" primaria per i giornalisti esterni ma anche a informare direttamente i cittadini su ciò che avveniva nei Palazzi) non solo erano comunque giornalisti (quindi iscritti all'Ordine) ma svolgevano la loro professione coperti dal loro contratto, tutto ciò dava una base di garanzia per mantenere "giornalistica", dunque svolta con i criteri e le regole anche deontologiche della professione, quel tipo di informazione.

Una informazione, inutile girarci troppo attorno, spesso a rischio di trasformarsi in altro: per esempio (usando un vecchio ma ancora chiaro termine) in mera "propaganda".

Avere il pieno contratto giornalistico, essere strutturati in redazioni, poter contare sulle regole (sindacali e ordinistiche) della professione, era considerato - fin dall'inizio delle battaglie che avrebbero portato alla legge 150/2000 e alle conseguenti conquiste specie nei grandi Comuni e nelle Regioni - una sorta di paracadute.

Era, certo, uno strumento fondamentale per i giornalisti, interni ed esterni alla Pubblica Amministrazione. Ma era una importante premessa (da riempire poi di contenuti concreti capaci di evitare la pura dimensione retorica) anche per le stesse amministrazioni pubbliche e per i cittadini: un inizio di garanzia - si diceva allora con un misto di utopia e ingenuità - per dare concretezza al doppio principio che a un "dovere" (la trasparenza per ogni ente: le pareti di vetro) vedeva corrispondere un "diritto" (quello, valido per ogni cittadino, di essere informato e possibilmente non manipolato su come la sua delega, data periodicamente con il voto, veniva esercitata).

Chi scrive, in quella stagione c'era. E bene ricorda le tante riunioni, nel sindacato e nell'Ordine, le passioni e le difficoltà per far passare quel tipo di "linea" fra politici gia allora assai più interessati alla propria immagine (e dunque molto sensibili ad attivare la figura del "portavoce" e assai meno sulla frontiera degli "uffici stampa" intesi in pieno senso giornalistico).

Ma difficoltà, e non poche, c'erano anche, e forse soprattutto, con un ceto burocratico assai pronto a scrivere norme così tante di numero e così confuse di forma, ma assai meno disponibile ad accettare sul serio la sfida della trasparenza e dell'informazione giornalistica dai Palazzi.

Fra le Regioni allora più pronte, più avanzate, a raccogliere la sfida, arrivando presto a una totale contrattualizzazione dei giornalisti nei suoi uffici stampa, c’era la Toscana.

Non tutto, nella realtà, fu "luce" né mancarono "ombre" sul difficile e stretto sentiero della traduzione dei nobili principi in comportamenti quotidiani. Ma la premessa era giusta: il contratto giornalistico e dunque il pieno riconoscimento circa la specificità professionale di quel lavoro: un po' come, evangelicamente, stare "nei" Palazzi senza essere "dei" Palazzi.

Adesso, in piena sessione estiva 2020 e a poche settimane dal rinnovo dei suoi organi politici, la Regione Toscana ha invertito marcia. Ha modificato e abrogato la legge (2006) istitutiva delle "strutture speciali" per l'informazione dal Consiglio e dalla Giunta.

Non tutto, in questa nuova legge peraltro ancora "transitoria" in attesa di una normazione generale che chissà quando arriverà, non tutto dipende o è "colpa" di quella Regione: nel frattempo, infatti, sono arrivate altre leggi nazionali, altri accordi sindacali e soprattutto due o tre sentenze della Corte Costituzionale.

In Toscana è infine arrivata la Corte dei Conti, quella regionale di controllo sugli atti, che a differenza di altre Corti regionali ha mostrato la faccia dura minacciando di non approvare i conti in presenza di un personale giornalistico interno con il contratto giornalistico.

Ecco dunque arrivata la leggina (che come moltissime norme di dettaglio, nazionali e regionali, non merita certo l'oscar della immediata comprensibilità) proposta dalla Giunta il giorno prima e approvata dal Consiglio martedì 21 luglio 2020. Ai giornalisti, cui viene tolto il contratto giornalistico per tornare a quello del comparto regionale, vengono fatte promesse - tutte da verificare nei 4 mesi successivi, e dunque dopo le elezioni di settembre - sul mantenimento della retribuzione e sulla organizzazione del lavoro. Ci mancherebbe altro.

Quello, purtroppo, che è mancato sta in una riflessione non solo "alta" ma anche "concreta" sull'intreccio fra quel diritto e quel dovere: il dovere di informare senza timore (anche ricordando le nobili premesse nello Statuto di quella Regione sul valore della informazione. Artt. 4 e 73) e il diritto, dei cittadini, a essere informati come premessa per un loro consapevole esercizio di cittadinanza attiva.

Forse il tempo dei populismi ha difficoltà a dialogare con il tempo degli ideali? Torna il mente la frase di Alex Langer, lasciata a tutti noi, proprio a Firenze, nel giorno da lui scelto per lasciarci. "Continuate in ciò che era giusto".

* Per saperne di più della vicenda toscana puoi leggere il comunicato dell'Assostampa Toscana qui

Ultima modifica: Ven 24 Lug 2020

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