In dialogo con un dodicenne sul 'ripensiamoci' / 10

Se dobbiamo andare oltre la pandemia, non dobbiamo pensare solo al coronavirus. Bisogna pensare anche a quello che facevamo prima per ritornare un po’ alla normalità, anche se non sarà uguale. Non tutte le cose fatte prima dell’isolamento sono sfumate con la pandemia”. La riflessione è di un ragazzo di 12 anni, uscita spontaneamente nell’atrio di una tenda da campeggio. Da lì è nata l’idea di un breve dialogo con un dodicenne sul “ripensiamoci”.

Forse le risposte saranno un po’ scontate, ma sono il punto di vista di un ragazzo di 12 anni. Non il nostro. A proposito: le risposte sono genuine, non filtrate dal giornalista che scrive.

d. Che consigli daresti alle giornaliste e ai giornalisti?

r. L’informazione non ha fatto altro che parlare di coronavirus. Durante l’isolamento, infatti, c’erano poche cose da leggere o da seguire in tv per distrarsi un po’. L’informazione avrebbe dovuto concentrarsi anche sulle cose belle al di fuori del coronavirus.

d. Quali, per esempio?

r. A ciò che accadeva nel mondo, per esempio. Sicuramente sarà successo qualcosa di bello, ma i telegiornali si sono concentrati solo sui dati della pandemia.

d. Ma abbiamo bisogno di ripensarci?

r. Sicuramente bisogna vivere in modo diverso finche non ci sarà un vaccino. Bisogna pensare a quello che si può fare, rispettando i limiti.

d. E i giornalisti, invece?

r. Potrebbero trovare le informazioni meno ricercate.

d. Hai qualche consiglio da dare alle istituzioni sul loro modo di informare?

r. Con il coronavirus la vita è proseguita dentro le case e le persone hanno reinventato la vita. Molte loro idee sono andate nel web. Le istituzioni avrebbero potuto portare avanti alcune di queste idee. Dare solo i numeri dei contagiati e dei morti non ha aiutato soprattutto i bambini costretti a rimanere a casa.

d. L’informazione religiosa?

r. Dovrebbe trovare più modi per arrivare alla gente perché è l’informazione religiosa che può aiutare a dare speranza alla gente e anche ad uscire con un sorriso dalla pandemia.

d. Cioè, come?

r. Diffonderla attraverso tutti i social facendo conoscere fatti di fede, soprattutto dei giovani, i quali non sempre vengono presi in considerazione dall’informazione religiosa. Se senti parlare di fede 50 adulti e 2 giovani, tu ti concentri su ciò che dicono i 2 giovani, perché nella semplicità esprimono cose fondamentali che arrivano a tutti.

d. Cosa pensi dell’utilizzo frequente, dall’inizio della pandemia, delle interviste a distanza?

r. Questo metodo sicuramente è innovativo, ma non potrà mai sostituire il faccia a faccia.

d. Perché?

r. A distanza può essere complicato per alcune persone. Penso ai sordomuti, i quali avrebbero difficoltà a comunicare e quindi potrebbero essere esclusi. E poi con il faccia a faccia il giornalista sente direttamente la voce della gente e vede la gente. Uscendo, l’ambiente potrebbe anche ispirare qualcosa che la casa non può trasmettere.

d. Ci sono giornaliste e giornalisti che lavorano senza un contratto, senza una paga fissa alla fine del mese. Secondo te quali regole bisogna seguire per un salario dignitoso?

r. Bisogna pagare i servizi per quello che valgono e non bisogna dimenticare chi non ha un salario fisso e ha il terrore di arrivare a fine mese senza una casa.

Ultima modifica: Lun 24 Ago 2020