Quale giornalismo durante la pandemia - #Ripensiamoci / 7

Potrà sembrare ovvio, ma questa pandemia ci ha colti impreparati. Prevedibile, si dirà, dopo un periodo di stabilità politica e sviluppo economico impetuoso come quello protrattosi dalla fine della guerra fredda.Resta però l’impressione che le fragilità venute a galla non riguardino soltanto l’intempestività dell’azione politica, l’incapacità dell’economia di mettersi al servizio dell’uomo e l’irrisolta competizione sui social network tra informazione e disinformazione. La vulnerabilità portata alla luce dal virus, su cui tanto ha insistito Papa Francesco, si declina in tendenze sociali e culturali prima latenti, ora palesi. Ecco che il ruolo del giornalista, munito degli attrezzi del mestiere, dalla ricerca e verifica delle fonti all’elaborazione dell’articolo o al montaggio del servizio, si è scoperto più essenziale che mai.

Numerosi e di vario genere sono gli ambiti in cui gli esperti dell’informazione sono stati chiamati a far chiarezza, a indagare sull’evoluzione della crisi e a darne un quadro il più possibile veritiero ed esaustivo. Con tutto che le limitazioni imposte per legge agli spostamenti hanno complicato e non poco il loro compito, mettendo in risalto, ad esempio, il valore del giornalismo d’inchiesta. Come associare nomi, volti, luoghi a una mole indistinta di numeri trasmessi dagli istituti di ricerca sull’andamento della pandemia senza un reportage, un’intervista raccolta sul campo? Si è rivelato così vitale il lavoro di approfondimento di chi ha dato voce ai dimenticati dell’emergenza, tra cui anziani e studenti di ogni età (sebbene, e non va taciuto, scarsissima attenzione sia stata dedicata alla condizione delle donne e alle ripercussioni della pandemia sul lavoro femminile), e agli operatori sanitari, testimoni troppo spesso inascoltati della gravità della crisi pandemica. Così, è spettato ai giornalisti il compito di accendere i riflettori sulla condizione dei soggetti più vulnerabili, lanciando un allarme implicito sul rischio di indebolimento dei vincoli di solidarietà e dei rapporti intergenerazionali. Si potrebbe definire un giornalismo di prossimità, di contrasto all’indifferenza.

Se ciò non bastasse, nel contesto di un dibattito pubblico inquinato dalle dinamiche da tifoseria dei social, solo un’informazione responsabile ha restituito il senso della complessità e delle sue innumerevoli gradazioni di colore. A controbilanciare il confronto esasperato sulle notizie scientifiche a suon di “Mi piace” e “Non mi piace”. Eppure, nell’ossessione di divulgare i dati più aggiornati e di render pubblici i risultati degli studi più avanzati sul virus, si è perso di vista il tema della scientificità, intesa come progressione da un ‘approdo’ provvisorio ad un altro. È passato il messaggio sbagliato che esistesse una verità della scienza medica sul virus, cosicché si sono verificati assurdi casi di partigianeria per un orientamento di pensiero o per un altro sulla natura e diffusione del contagio.

Si può dire, allora, che sia toccato agli esperti dell’informazione, oltre che trasmettere i pareri della comunità scientifica, richiamare l’opinione pubblica ad assumere uno sguardo critico verso un dibattito che ha rischiato più volte di mescolare scienza e politica, dato oggettivo e interpretazione della realtà. Solo di rado nei primi mesi dell’anno il giornalismo ha svolto, nei limiti della deontologia, una funzione educativa, che avrebbe giovato alle persone sul piano psicologico ed emotivo.

Infine, una nota di merito va riconosciuta al giornalismo cattolico, che ha saputo restituire il valore insostituibile della fede come roccia salda per un’umanità impaurita in mezzo alla tempesta, ora dando notizia delle iniziative del Papa, ora invitando alla riflessione sul tema della riscoperta fragilità dell’umano. E non meno significativo è stato il “giornalismo della memoria”, che ha rievocato tragedie del secolo scorso equiparabili a quella del COVID-19, interrogando le testimonianze storiche e gettando luce su un passato caduto nell’oblio e sulle lezioni che se ne possono trarre. Memoria collettiva che esce impoverita dalla scomparsa di parte delle vecchie generazioni e che, perciò, andrebbe custodita e tramandata con maggior cura.

Quelli che sono stati passati brevemente in rassegna sono – secondo me - alcuni dei pregi e difetti del giornalismo alle prese con la pandemia e le sue conseguenze, da cui si può e si deve raccogliere nuovo slancio, perché le energie represse durante la quarantena si esprimano in una rinnovata progettualità. “Insieme” non deve rimanere uno slogan formulato per l’autoconvincimento, ma deve diventare carne viva di un patto tra giornalisti giovani e adulti per una collaborazione costruttiva e solidale, nel segno della condivisione di momenti di dialogo e formazione professionale.

Ultima modifica: Sab 12 Set 2020