Le periferie sono 'luoghi vitali'

Torna la nostra rubrica #deskdelladomenica. All'indomani della presentazione del terzo rapporto "Illuminare le periferie" (leggi qui), poponiamo questo articolo molto interessante di Carlo Cellamare, docente di Urbanistica all'Università La Sapienza di Roma: "Le periferie come luoghi vitali - Guardare la città dal punto di vista dell’abitare". E' stato scritto prima della pandemia, ma contiene lo stesso ottimi spunti per riprogettare il futuro delle nostre città (ar)

Carlo Cellamare (2019)

1. La “città di pietra” e la “città degli uomini”
La città non è fatta solo delle case, delle infrastrutture e dei servizi, ma anche delle persone che ci vivono e di tutto quel mondo di relazioni, legami e affetti che plasmano e rendono vivibile il nostro stare insieme e il luogo in cui abitiamo. Bisogna lavorare per ricongiungere la “città di pietra” e la “città degli uomini” , oltre a una città efficiente dobbiamo pensare a una città accogliente . Per questo è fondamentale assumere il punto di vista dell’abitare e della vita quotidiana. E, in particolare, essere vicini agli “ultimi”, guardare a come vivono.

Le città oggi sono anche il luogo dove si sperimenta una distanza crescente della politica e delle istituzioni dai territori e un arretramento del welfare state. La politica ha perso la sua capacità di mediazione tra le esigenze sociali emergenti e i luoghi delle decisioni, ma anche la capacità di pensare il futuro. Allo stesso tempo, a partire dalla formazione della città moderna, si registra un’espropriazione della capacità creativa e progettuale degli abitanti, quando invece essi sono i primi protagonisti e molto spesso i principali soggetti attivi sui territori urbani.

2. Saper guardare la città. Ripensare le periferie a partire dalle persone
Le periferie vengono generalmente considerate i luoghi del degrado e della marginalità delle città, rispetto ad una visione che considera il centro come il luogo privilegiato e di maggiore qualità. Questa posizione privilegia un punto di vista che guarda alla città dal suo centro e dalle sue parti più ricche, in un contesto urbano che effettivamente produce disuguaglianze profonde ma non sa pensare diversamente i luoghi urbani.

Si tratta prevalentemente di una visione dall’alto, che spesso si appoggia ad approcci tecnicisti e che è condizionata da luoghi comuni che spesso mirano strumentalmente a determinare ghettizzazioni. In questo, anche i media hanno una responsabilità importante nel costruire un’immagine distorta (ma più attraente e d’effetto per il grande pubblico) delle periferie, quando le indagini non sono fatte con la dovuta serietà e profondità.

È necessario un cambiamento di approccio e di visione. È fondamentale conoscere le periferie dal loro interno, profondamente, partecipando alla loro vita e alle loro dinamiche. Per questo, anche per il ricercatore, è importante il prolungato lavoro sul campo. Tutto questo permette di far emergere aspetti altrimenti non conosciuti o non ritenuti rilevanti. Questo approccio permette di conoscere più profondamente la realtà di quanto non possano fare le analisi fisiche e quantitative (sebbene anche queste siano rilevanti). Inoltre, la vicinanza al vissuto degli abitanti permette non solo di capire meglio le situazioni, ma anche di qualificarle dal loro punto di vista, evidenziandone i pesi, le urgenze e le priorità.

Il nodo fondamentale è la necessità di assumere un punto di vista a partire dalle persone. È il punto di vista dell’abitare, che si pone come obiettivo la promozione umana e il miglioramento delle condizioni di vita delle persone nei luoghi che abitano. Non è sufficiente una prospettiva che mira all’efficienza della macchina urbana se non si tiene presente la centralità della persona umana ed anche il suo ruolo di protagonista dell’abitare, anche per contrastare quelle economie urbane che mercificano la città e i rapporti sociali (come è nel caso della gentrification e della movida notturna).
L’obiettivo del mestiere di urbanista è quello di migliorare le condizioni dell’abitare nel suo complesso, le condizioni di vita degli abitanti (non soltanto dal punto di vista dell’efficienza tecnica), nonostante le pressioni dell’economia globalizzata, della rendita e di tanti altri interessi speculativi.

3. Periferie come “luoghi vitali” della città
La ricerca sul campo sviluppata nel contesto romano in questi anni, soprattutto nelle sue periferie e in particolare nel quartiere di Tor Bella Monaca (Cellamare, 2016a, 2016b), ci permette di sviluppare alcune considerazioni sul ripensamento dei “luoghi ultimi” , come spesso vengono considerate le periferie. Le “periferie” sono la parte più consistente delle città ed oggi anche quella più vissuta. A Roma, su circa 2.900.000 abitanti solo circa 100.000 vivono in centro storico. La maggior parte vive nelle nuove e vecchie periferie, sempre più lontano dal centro e sempre più indipendentemente dal centro. Si tratta spesso di città separate o marginalizzate. Esistono poi molte periferie diverse. Con l’esplosione urbana cui abbiamo assistito, la periferia romana non è più quella “corona di spine” di pasoliniana memoria che avvolgeva il centro. È un coacervo di realtà molto diverse.

La ricerca sul campo e a diretto contatto con gli abitanti ci mostra come le periferie siano il luogo della vitalità della città, luoghi con molti problemi e una difficoltà di vivere ma dove c’è un fermento continuo, dove si cercano creativamente e concretamente soluzioni ai problemi per cui non si trovano alternative e ai quali le amministrazioni non danno risposte. In questi territori si misura spesso la profonda distanza della politica e delle istituzioni, in un contesto generale dove l’economico prevale fortemente sul politico e sulle esigenze sociali emergenti.

Le periferie sono un laboratorio sociale e un luogo di produzione culturale. Come dice Papa Francesco (2013), «una cultura inedita palpita e si progetta nella città» . In questi territori si registrano le principali “sfide sulle culture urbane” , ma anche le innovazioni e le nuove narrazioni. Le periferie possono essere considerate «i nuclei più profondi dell’anima delle città» (EG 74).

Sono contesti dove si sperimenta in maniera costruttiva e collaborativa la convivenza delle diversità, che viene interpretata come arricchente, quando altrove viene vissuta con paura o esclusione (come avviene spesso nei confronti dei migranti). Ne sono un esempio le occupazioni a scopo abitativo, come nei casi di Porto Fluviale (in zona Ostiense) e Metropoliz (in zona Tor Sapienza, sulla Prenestina), dove si realizza una convivenza tra italiani e stranieri, tra popoli e culture molto diverse tra loro, che in questo scambio costruiscono non solo l’integrazione, ma anche l’arricchimento reciproco e la solidarietà.

Sono contesti di una grande produzione culturale, a differenza di quanto avviene spesso nei centri delle città, dove prevale il consumo culturale (ad esempio nei centri storici museificati o dove prevale il turismo). Proprio i contesti dove sono più forti le tensioni, le conflittualità e le lotte contro l’ingiustizia spesso sono anche i luoghi dove si producono culture innovative, come le culture di strada e le culture giovanili. A Roma, ad esempio, uno dei luoghi dove si produce la musica rap più interessante è proprio Tor Bella Monaca. Nell’esperienza del lago ex-SNIA Viscosa, in zona Prenestina, si è avuta una grande produzione musicale, poetica e artistica. Il Trullo, ex borgata fascista, è molto noto per la produzione di poesia (con incontri internazionali di “poesia di strada”) e per i suoi murales che accompagnano la poesia e raccontano le vicende del quartiere.

4. Protagonismo sociale, riappropriazione della città e autorganizzazione
Le periferie sono contesti dove, come si diceva, emergono una creatività e la ricerca di soluzioni a problemi particolarmente interessanti e importanti, anche quando la politica e le istituzioni sono assenti, anzi spesso proprio per questo. Diventano i luoghi dove oggi si ha la più significativa produzione di cultura politica a fronte dell’afasia dei contesti istituzionali più formali. Sono i contesti dove le progettualità sono più forti e ricche. Ogni quartiere a Roma ha un comitato o un’associazione – e spesso anche più di uno – che si occupa della sua riqualificazione con proposte concrete e spesso molto articolate.

Sono contesti dove emerge una grande capacità di autorganizzazione, che permette di sviluppare in proprio iniziative (sociali, culturali, politiche, ecc.) ed azioni concrete. Si tratta spesso di processi di riappropriazione della città che sono, allo stesso tempo, forme di risignificazione dei luoghi. Tutto questo contrasta profondamente con l’immagine spesso falsata di questi contesti, associati all’immagine del ghetto e del degrado. Sono luoghi dove si esprimono grandi energie sociali e grandi forze di reazione che chiedono non solo di essere ascoltate, ma di essere supportate e valorizzate.

Paradossalmente, sembra quasi che le parti si possano invertire. Alcune periferie hanno molto da insegnare ad altre aree urbane che appaiono in condizioni migliori. In primo luogo, perché dove c’è più tensione e più difficoltà c’è contemporaneamente maggiore radicalità, profondità e ricerca di soluzioni innovative. In secondo luogo, possiamo imparare molto da chi affronta problemi profondi, come quello della povertà, con dignità e con scelte concrete e impegnative, rispetto a contesti che non hanno questi problemi e non si trovano nella difficoltà profonda di doverli affrontare.

5. Le povertà urbane e la lotta quotidiana per la qualità di vita
Non bisogna indulgere in una sorta di romanticismo e in una visione buonista della città. I problemi esistono e sono molto rilevanti. Forti sono le disuguaglianze all’interno della città.
Uno dei problemi più rilevanti è sicuramente la povertà e la mancanza di lavoro. La Caritas romana evidenzia questo come il problema più grave a Roma . L’Istat segnala che in Italia ci sono ben cinque milioni di poveri “reali”, cui bisogna aggiungere le persone in condizioni di povertà relativa. La questione della casa torna ad essere centrale, perché in condizioni di povertà la casa è un bene rifugio e la disponibilità di un’abitazione permette di sopravvivere a chi non ha lavoro o ha redditi molto bassi.

Lo scarso investimento sui programmi di edilizia pubblica e sulle politiche per la casa ha indotto nel tempo un aggravarsi del problema. È questo un altro aspetto dell’arretramento del welfare state che mette in difficoltà molte famiglie. Nelle città, anche in quelle ricche occidentali, Roma in primis, si sviluppano occupazioni di edifici dismessi e baraccopoli come risposta all’emergenza abitativa quando non ci sono adeguate politiche pubbliche. Gli sgomberi, pur con l’obiettivo di riportare la legalità, non risolvono il problema.

Nei contesti urbani dove si concentra la povertà fioriscono anche le economie criminali e quindi le forme della criminalità organizzata, che – in mancanza di altro – costituiscono una valida alternativa.

A Tor Bella Monaca, un quartiere di sola edilizia pubblica, vivono circa 35.000 persone. Sulla base dei criteri di accesso alla casa pubblica (reddito, sfratto esecutivo, presenza di disabilità, ecc.), questo diventa un luogo di concentrazione della povertà e del disagio sociale; un ghetto, inevitabilmente malvisto da tutta la città. Il V Municipio di Roma, e Tor Bella Monaca al suo interno, registra il reddito medio più basso della Capitale, i maggiori tassi di disoccupazione, la maggiore concentrazione di disabili, la maggiore concentrazione di persone agli arresti domiciliari, l’età media più giovane, elevati tassi di “evasione” o dispersione scolastica. Non è un caso che è diventata la piazza di spaccio più importante di tutta la Capitale, dove agiscono almeno dieci “famiglie” o organizzazioni mafiose.

Guardare questa situazione con altri occhi ci deve spingere non a generiche condanne, ma alla preoccupazione per chi vive in difficoltà e spesso non ha soluzioni alternative. Un occupante di casa mi disse una volta che avrebbe fatto volentieri a meno di occupare se avesse avuto una casa. In questi quartieri, il conflitto con lo spaccio della droga, anche negli spazi pubblici o nei parchi (dove, ad esempio, i bambini dovrebbero muoversi liberamente), è una lotta quotidiana. Gli abitanti, in mezzo a moltissime difficoltà, costruiscono quotidianamente la loro strada e cercano soluzioni, con impegno e creatività, e fronteggiano da soli la criminalità organizzata, frequentemente con rischio e costi personali. Molto spesso la soluzione prioritaria non è la riqualificazione urbana, intesa come riqualificazione fisica degli spazi pubblici, ma il sostegno al lavoro e allo sviluppo locale: dare la possibilità alle persone e alle famiglie di avere un lavoro e un reddito.

6. La profezia e la capacità di futuro
Le difficoltà che vivono le periferie sono l’espressione delle difficoltà e delle distorsioni che subiscono le città. Il problema è il modello di sviluppo delle città. Il nostro impegno è pensare il futuro, costruire le alternative, in una grande alleanza con le forze sociali più sensibili. Per questo bisogna trovare i modi adeguati del coinvolgimento degli abitanti, al di là delle forme tradizionali e sterili di partecipazione, valorizzando le progettualità, le forme di autorganizzazione, il protagonismo sociale che si fa carico dell’interesse collettivo. In questo le città saranno capaci di futuro e in questo è richiesto un grande slancio profetico da parte delle persone che ci lavorano. La città è oggi una grande sfida, dove si gioca la convivenza umana, il passaggio dall’individualismo alla solidarietà, la promozione umana.

Ultima modifica: Sab 21 Nov 2020