Storie di musica e di amore - #ilmiopresepe/4

Sul finire di questo annus horribilis, #ilmiopresepe vede in primo piano un anziano zampognaro. Lo accompagnano, dall’8 dicembre ma anche oltre, altri giovani musici pastori con le loro ciaramelle, risonanti motivi natalizi della tradizione: come il classico Quanno nascette Ninno di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, per Benedetto Croce “il più santo dei napoletani e il più napoletano dei santi”. E sono loro, non a caso, i più vicini alla grotta di Betlemme, dove celebrano con l’umile bellezza delle loro melodie l’Evento che ha cambiato la Storia: l’avvento del Bambino che rappresenta la sacralità dell’infanzia e l’infanzia del sacro destinato, con la Buona Novella, a rivoluzionare il mondo con la legge aurea dell’amore.

Ogni bambino che nasce ci ricorda che Dio non è ancora stanco dell’umanità, diceva del resto il poeta indiano Rabindranath Tagore. E anche un intellettuale laico come Gianni Rodari, di cui in questo funesto 2020 si è celebrato il centenario dalla nascita, ne era convinto: «Un bambino, ogni bambino, bisognerebbe accettarlo come un fatto nuovo, con il quale il mondo ricomincia, ogni volta, da capo», affermava. Elogiando, nei suoi suoi scritti pedagogici dove racconta quello che i bambini insegnano ai grandi, la cosiddetta “utilità dell’inutile”. Che passa proprio per la musica, ma anche attraverso la poesia, il teatro, la fiaba, la pittura, le arti, il gioco: espressioni messe a dura prova dalla pandemia – ossia attraverso tutte quelle attività disinteressate che appartengono alla vita dell’uomo libero, dell’uomo completo. Attività, per Rodari, capaci di costituire un granello di sabbia negli ingranaggi del produttivismo senz’anima, dando il giusto spazio alla bellezza della fantasia creat(t)iva come dimensione della realtà umana.

Se ne è avuto un toccante esempio, sul finire di questo anno bisestile segnato dal Coronavirus, in due storie d’amore ai tempi della pandemia: protagoniste due coppie di anziani coniugi unite da un legame più forte del virus. E della morte. Nella prima storia Stefano, un alpino ottantunenne nel Piacentino, impossibilitato dalle restrizioni sanitarie a fare visita all’amata moglie Carla ammalata di Covid, ha imbracciato la sua fisarmonica e, seduto nel cortile dell’ospedale con il consenso dei medici, ha suonato per oltre un’ora, l’8 novembre, una struggente serenata per la moglie toccando il cuore di tutti. Un mese dopo, purtroppo, Carla è morta, ma l’amore veicolato dalla musica è sopravvissuto, come un’icona di luce cesellata nel buio del dolore da quel gesto di tenerezza e di cura dell’anziano Stefano: «In quella serenata tutti abbiamo riconosciuto l’Amore, nella semplicità e nell’immediatezza del suo linguaggio universale», ha commentato in un messaggio di cordoglio su Facebook la sindaca di Piacenza Patrizia Barbieri ringraziando la sensibilità di Stefano, che ha ricordato a tutta la comunità, con il suo gesto di tenerezza, «cosa significhi, davvero, volersi bene. Fare di tutto perché l’altra persona non si senta sola, trovando il modo di superare qualsiasi barriera. Non avere paura di mostrarsi vulnerabili, di manifestare ciò che si prova. Saper toccare il cuore di coloro che amiamo, sino all’ultimo istante».

Qualche tempo dopo, all’antivigilia di Natale, ecco un’altra storia struggente sull’impossibile possibilità dell’amore: testimoniato sulle ali della musica e di gesti minimi che fanno la differenza. Con un supplemento d’anima. Forse perché, come ci ricorda Marco Tullio Cicerone, una vita senza musica è come un corpo senz’anima. Protagonisti Antonio e Serafina, sposati da cinquant’anni ma costretti ad allontanarsi a causa di un’altra terribile malattia: l’Alzheimer che ha colpito la donna, ricoverata presso una struttura specializzata.

Ma Antonio non si rassegna al forzato distanziamento dalla sua amata, esasperato dalle norme anti Covid. Ogni giorno va a trovarla, sperando di ravvivare in lei l’eco di un amore intatto, in lui, come mezzo secolo prima. L’uomo non si limita a guardare lo sguardo smarrito della sua compagna di vita attraverso un vetro che li divide, per evitare il rischio di contagi da Sars-CoV2. Riesce a stringerle la mano, nell’apposito angolo delle tenerezze, grazie ad un’apertura di plastica sigillata pensata per coccolarsi in sicurezza. Non solo. Antonio va oltre: pur di tornare a rivedere una scintilla di gioia negli occhi della sua donna, ingaggia degli zampognari, che suonano brani natalizi per lei ma anche per le altre ospiti della struttura, schierate stupite e felici con le loro carrozzelle.

E il miracolo accade: Serafina è in piedi, si avvicina, sfiora al di là del vetro la mano del marito e sorride, un guizzo negli occhi che all’improvviso sembrano avere un barlume di consapevolezza nella nebbia della malattia che ingoia i ricordi. Le melodie eseguite dagli zampognari, con il linguaggio universale dello spirito non soltanto natalizio, ha fatto vibrare e risuonare nelle anime degli anziani coniugi una corrente segreta di memorie sepolte e sentimenti. Quasi a confermare una convinzione di Ludwig van Beethoven: la musica è una rivelazione, più alta di qualsiasi saggezza e di qualsiasi filosofia. Ecco perché nel #miopresepe, soprattutto in questo anno così difficile, i musici pastori hanno un posto di rilievo accanto alla Sacra Famiglia.

Ultima modifica: Mer 30 Dic 2020