I segni che il giornalista deve riconoscere per dare la buona notizia - #ilmiopresepe/7

Secondo il Vangelo di Luca, l’angelo del Signore appare ai pastori, dice loro: “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”(2,12). “Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: 'Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere'. Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia” (2, 15-16).

Queste parti del Vangelo di Luca mi portano a riflettere sulla nascita. Sbagliando, si è portati a pensare che nella vita si nasca una sola volta. Si nasce quando le speranze vacillano; quando ci manca la forza per fare l’ultimo miglio; quando i risultati sperati non collimano con le aspettative. I pastori sono rinati quando, senza indugio, andarono a cercare la buona notizia. Non andarono alla cieca, gli angeli diedero dei segni per riconoscere la buona novella.

Tonando ai tempi nostri, al Covid 19 che ha rivoluzionato la quotidianità delle persone in tutto il mondo, ai nuovi assetti economici, giuridici e sociali e che ha cambiato la vita democratica dei cittadini e degli Stati, la pandemia ha mutato anche la comunicazione. Le narrazioni degli avvenimenti, pur non essendo più le stesse nella sostanza e nella forma, non hanno determinato però cambiamenti virtuosi. Studiosi e scienziati di vari settori si stanno sforzando di dare delle chiavi di lettura pure trasversali e interdisciplinari su quanto sta accadendo e ci attende, ma risultano ancora non esaustive.

Penso che anche i media in questo periodo si siano perlopiù limitati a inseguire gli eventi, l’agenda politica, hanno seguito o in alcuni casi addirittura cavalcato l’onda, senza riuscire ad essere incisivi, ad esprimere al meglio il ruolo di “in-formazione” che compete loro. Almeno non tutti. Forse sono mancati “i segni” , quelli giusti che hanno dato gli angeli ai pastori per riconoscere le buone notizie.

Papa Francesco nel primo capitolo dell’enciclica “Fratelli tutti”, intitolato “Le ombre di un mondo chiuso”, dedica alcuni paragrafi alla comunicazione. Nel paragrafo 50 ci sono degli indicatori interessanti per giungere alla verità: “ È un cammino perseverante, fatto anche di silenzi e di sofferenze, capace di raccogliere con pazienza la vasta esperienza delle persone e dei popoli. Il cumulo opprimente di informazioni che ci inonda non equivale a maggior saggezza. La saggezza non si fabbrica con impazienti ricerche in internet, e non è una sommatoria di informazioni la cui veracità non è assicurata. In questo modo non si matura nell’incontro con la verità. Le conversazioni alla fine ruotano intorno agli ultimi dati, sono meramente orizzontali e cumulative. Non si presta invece un’attenzione prolungata e penetrante al cuore della vita, non si riconosce ciò che è essenziale per dare un senso all’esistenza. Così, la libertà diventa un’illusione che ci viene venduta e che si confonde con la libertà di navigare davanti a uno schermo. Il problema è che una via di fraternità, locale e universale, la possono percorrere soltanto spiriti liberi e disposti a incontri reali”.

Un percorso complesso che ci chiede di rinascere come persone e come comunicatori. Senza indugio. Una nuova nascita ci potrebbe condurre alla buona notizia, a quella che costruisce, edifica ponti e non muri, semina speranza, gioia e solidarietà tra gli esseri umani nonostante il buio in fondo al tunnel.

Ultima modifica: Mar 5 Gen 2021