L'altra faccia della precarietà - #nuovoinizio/6

Se dovessi individuare una parola che, più d’ogni altra, sintetizza il 2020 e apre il 2021 è precarietà. Non è sicuramente una delle parole più edificanti del nostro vocabolario, né una delle più piacevoli.

Equilibri precari, precarietà economica, salute precaria, lavoro precario: la pandemia non ha fatto che aggravare il difficile contesto nel quale l’Italia e l’Europa si stavano muovendo.

Non solo, i primi giorni dell’anno, con la politica sempre più segnata dall’autoreferenzialità e il mondo della comunicazione stretto tra il clickbait e la contestazione, sembrano deludere le speranze in un rapido ritorno alla normalità.

Eppure, precarietà può essere una parola di speranza, nel momento in cui ci si ricorda che l’etimologia è prex, preghiera. Colui che è precario è nella condizione di doversi affidare a un altro, per poter ricevere il necessario per l’esistenza.

Vi può essere, dunque, una precarietà imposta dall’esterno, dalle circostanze e, talvolta, dalle disuguaglianze sociali, ma vi è anche una precarietà scelta, frutto della volontà di condividere la condizione degli ultimi.

Precarietà è quella solidarietà umana che si fa preghiera comune, che diventa bene comune; è il sentirsi parte di una famiglia umana scossa, bisognosa di tornare al proprio Creatore, di ricostituire i legami con il creato e di farsi carico del prossimo.

Forse è questa la strada per uscire dal buio...

Ultima modifica: Sab 16 Gen 2021