I tre appelli di Papa Francesco ai giornalisti

Puntuale come da 55 anni a questa parte, il messaggio di papa Francesco per la giornata delle comunicazioni sociali, che si celebra a maggio, è arrivato in tempo per questo 24 gennaio, festa di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, e domenica della Parola, giunta alla sua seconda edizione.

Non c’è relazione evidente tra le due ricorrenze, se non per un fatto. Nella cassetta degli attrezzi di ogni giornalista la materia prima è fatta di parole che danno corpo a cronache e a domande, a racconti e ricerche, a dubbi prima che a certezze. Parole che rappresentano la realtà e le danno – almeno così dovrebbe essere - una direzione nel senso del vivere civile e del mondo da costruire. Le parole non vanno sprecate né mai disgiunte dal loro significato e da un orizzonte di senso che, per i giornalisti credenti, trova nella Parola la sua radice lontana e insieme la sua proiezione futura.

Il messaggio di quest’anno, titolato “vieni e vedi”, ha forti richiami all’esperienza concreta dei giornalisti. Vorrei sottolineare tre passaggi.

Il primo è l’invito a uscire dalla presunzione del “già saputo”, e a mettersi in movimento per andare a vedere, stare con le persone, ascoltarle, raccogliere le suggestioni della realtà. Una sollecitazione che arriva in piena pandemia, mentre anche i giornalisti escono mediamente meno che in passato, patiscono il limite agli spostamenti e alle trasferte, e in molti casi hanno dovuto sperimentare un modo nuovo e diverso di lavorare.

Un secondo passaggio del messaggio del papa che provoca alla riflessione non si rivolge solo ai giornalisti, e chiede che ogni espressione comunicativa sia limpida e onesta, nella redazione di un giornale come nel mondo del web, nella predicazione della Chiesa come nella comunicazione politica o sociale. Se le nostre istituzioni hanno perso credibilità è perché molte volte, di fronte alle parole di chi le rappresenta, ci siamo trovati a chiedere “cosa c’è dietro”, “cosa è vero e cosa non lo è”, “qual è lo scopo reale, quale il disegno” di un dato modo di fare o di dire.

Il terzo passaggio è quell’invito a “consumare le suole della scarpe”, sapendo che un’informazione “di palazzo”, autoreferenziale, non riesce a intercettare la verità delle cose, né a cogliere i fenomeni sociali più gravi così come le energie positive che emergono dalla base della società. Ogni giornalista conosce, o dovrebbe conoscere, il valore delle scarpe, che non sono un concetto astratto, ma le sue scarpe, quelle consumate dai suoi passi, che hanno consentito i suoi incontri, accompagnato i suoi desideri, e perfino i suoi inciampi.

Infine un grazie non scontato il papa lo ha rivolto ai tanti giornalisti, cineoperatori, montatori, registi che spesso lavorano correndo grandi rischi per denunciare soprusi e ingiustizie contro i poveri e il creato, per far conoscere le condizioni difficili delle minoranze perseguitate, per raccontare tante guerre dimenticate. Se la voce di questa informazione coraggiosa venisse meno, sarebbe un sicuro impoverimento anche per la democrazia, che oggi sentiamo come un bene prezioso eppure non scontato. Mentre si vive e si racconta la pandemia, con le sue conseguenze su ogni aspetto dell’esistenza, è molto forte il richiamo a leggere la crisi non solo con gli occhi del mondo più ricco, ma con quelli dell’intera umanità. E per farlo servono giornalisti attrezzati, che sappiano farsi voce di chi non ha voce.

Ultima modifica: Dom 24 Gen 2021