I giovani in dialogo sul messaggio del Papa / 2

Pubblichiamo altri quattro contributi dei giovani giornalisti che hanno partecipato al confronto sul messaggio del Papa per la giornata delle comunicazioni sociali.

IL GRAZIE (NON SCONTATO) DEL PAPA di Andrea Cuminatto

Leggendo il messaggio di Papa Francesco sono due le cose che mi hanno colpito in maniera particolare, una scaturita dalla prima lettura veloce, l’altra da una seconda lettura più approfondita.

Innanzitutto sono rimasto sorpreso, piacevolmente sorpreso, dal fatto che il Papa dedichi il suo tempo a ringraziare i giornalisti. È difficile oggi vedersi ringraziare, come categoria, per il lavoro che facciamo. Ma il Papa sottolinea come solo grazie al coraggio e all’impegno di tanti colleghi oggi conosciamo la condizione difficile di alcune minoranze perseguitate e molti soprusi ed ingiustizie contro i poveri e contro il creato sono stati denunciati. Se queste voci venissero meno, se il ruolo dei giornalisti venisse meno, sarebbe impoverita la nostra umanità. Quando ho iniziato a muovere i primi passi nel mondo del giornalismo, l’ho fatto con questo obiettivo: raccontare il mondo nascosto, dare voce a chi non ha voce. Oggi sento che il Papa si rivolge anche a me, ringraziandomi per le volte in cui ho svolto il mio lavoro con questo coraggio e stimolandomi ad avere questo coraggio anche e soprattutto quando risulta difficile.

Ad una seconda lettura, mi sono reso conto che Papa Francesco non dice cose nuove. Parla di rischi di una comunicazione social priva di verifiche, di appiattimento in giornali fotocopia, di informazione sempre più autoreferenziale e sempre meno d’inchiesta. Temi di cui in UCSI ci confrontiamo almeno da quando, circa 10 anni fa, sono entrato nell’associazione. Mi chiedo quindi: se il Papa sente la necessità di ribadire concetti che dovremmo sempre avere chiari davanti a noi, forse non sono poi così chiari, forse c’è ancora da lavorare per far sì che la società comprenda e faccia propria l’importanza di un racconto della realtà che vista con gli occhi degli ultimi. È da qui che dobbiamo ripartire, nonostante le difficoltà, nonostante il precariato che schiaccia le possibilità di fare inchiesta, nonostante l’indifferenza generale. E possiamo farlo solo ritrovando quel coraggio per cui vale la pena, poi, dirci “grazie”.

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L’ESEMPIO DI PAOLO DI TARSO PER I GIORNALISTI di Rosaria Morra

Paolo di Tarso divenga riferimento per il comunicatore di oggi, è questo l’invito che il Pontefice rivolge agli operatori del settore. La capacità del Santo d’impressionare chiunque ne ascolti il messaggio cristiano è un esempio ancora adesso per la scelta di un linguaggio semplice, chiaro, diretto, privo di sensazionalismi, di parole inutilmente abusate, di vuoti. Quei vuoti in cui facilmente s’insidia l’approssimazione o, peggio, l’informazione sbagliata e senza correzioni, senza approfondimenti, senza smentite. Una comunicazione integra, questa la strada: un linguaggio pienamente umano che viaggia grazie alla tecnologia e non conosce confini, non ha barriere, è libero. Come l’informazione.

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IL LINGUAGGIO MODERNO DI PAPA FRANCESCO di Antonello Lorusso

Non perde mai occasione il Santo Padre per dimostrare al mondo quanto sia, a differenza di altri, al passo con i tempi nell'ambito della comunicazione. Lo ha dimostrato proprio con il suo ultimo messaggio per la prossima giornata delle comunicazioni sociali. In esso riesce a esprimere sia uno sguardo verso il passato, chiedendo agli operatori dei media di ritornare per le strade e prendere le giuste distanze dalle fake news, consumando le suole delle scarpe per cercare le vere notizie, sia un futuristico e critico occhio verso i giovani che sono sempre più focalizzati verso i social. Eppure quei social, molte volte, artificiosamente creano delle notizie attraverso operazioni di copia e incolla. Ovviamente, nella ricerca, l’attenzione non va mai distolta da chi non ha voce: e oggi potremmo pensare in maniera particolare ai popoli esclusi dalla distribuzione dei vaccini.

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IL GIORNALISTA COME IN UN DRAMMA DI SHAKESPEARE di Andrea Miccichè

Sa parlare all’infinito e non dir nulla”: Papa Francesco cita, nel Messaggio per la LV Giornata Mondiale per le Comunicazioni Sociali, le parole di Graziano ne “Il mercante di Venezia” di Shakespeare.  C’è una sottile linea di congiunzione tra l’opera del drammaturgo e la nostra tragedia comunicativa: molte volte, la fretta di trasmettere un contenuto ne depaupera la qualità. Quante volte capita che il lettore, confuso da fonti contraddittorie, fortemente ideologizzate o mistificate rinunci a trovare la ragione della notizia?

Chi si trova davanti all’infinito scorrere di informazioni inutili, cederà davanti a quella che si presenta meglio, senza preoccuparsi di cosa sia il vero bene. È solo in quel “vieni e vedi”, in quell’andare oltre l’apparenza del mezzo, che si trova il messaggio autentico; ancor di più, il giornalista, colui che, per professione-vocazione, si interroga sul senso degli avvenimenti, deve cercare di offrire al fruitore una prospettiva di senso e di verità che nulla ha a che fare con il cosiddetto senso comune.

La ricerca della verità obbliga a mettersi in cammino, sia fisico, che intellettivo: non si può negare che la nostra mente ragioni incasellando gli eventi in categorie precostituite, eppure il quid in più è dato dall’audacia di ricostruire il precostituito, di uscire dagli schemi e rimettere in discussione le certezze. Il discernimento del giornalista è l’arma più potente contro il potere: non si tratta solo di difendere la propria credibilità, ma di assicurare l’armonia del corpo sociale, che può agire razionalmente solo se è in possesso delle cognizioni sul proprio presente; e queste conoscenze sono veicolate tramite i mezzi di comunicazione.

Dunque, il nostro compito è offrire un’informazione attesa, cercata, vista, vissuta, un’informazione frutto di esperienza e di tempo. Ricordiamo che “Il mercante di Venezia” poggia su una serie di scelte non ponderate, di notizie frammentarie, di avventatezza: giudicare sulla base del materiale dello scrigno, non assicura che il contenuto sia valido; la formulazione generica di una clausola può essere il discrimine tra la vittoria e la sconfitta; gli abiti non sono garanzia dell’identità di chi li indossa. Tocca al giornalista ripercorrere la strada di Damasco, raccogliendo la sfida del “disvelamento” della notizia, accettando pure l’evenienza di cadere, di rimettere in discussione le proprie congetture: solo così coglierà il “miracolo palpitante della vita” (Beato Manuel Lozano Garrido).

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ONESTA’, DOLCEZZA E GENTILEZZA PER UNA NUOVA INFORMAZIONE di Rossella Avella

Vieni e vedi”: l’invito del Papa che riprende un verso del Vangelo di Giovanni è giusto, ma come applicarlo? Purtroppo il giornalismo vive un’epoca di profonda crisi dovuta non solo a quella più generale dell’editoria, ma legata in particolare al modo di fare giornalismo.

Vieni e vedi...ma cosa? Oggi purtroppo tanti, troppi colleghi, come anche il Papa ricorda in occasione del suo Messaggio per la Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, sono sempre più legati alle sedie delle proprie scrivanie. Il giornalismo è figlio di un’informazione che gira in redazione, con sempre minore possibilità di uscire e “consumare le suole delle scarpe”. Cosa fare, ma soprattutto come fare la differenza?

Con il metodo. Bisogna trovare una propria “filosofia di giornalismo”, uno stile e un modus operandi che rispecchi quello che siamo e ciò in cui crediamo. La fede è sicuramente quel quid in più che può indicare la strada maestra e l’Ucsi rappresenta proprio quella grande famiglia che può indirizzare ogni singolo giornalista a raccogliere i valori principali per fare buona informazione. Ognuno nel suo piccolo può fare la differenza, nel fare ricerca e analisi della società in cui si vive. Bisogna cercare, studiare capire e trovare storie. I lettori hanno bisogno di positività, onestà, dolcezza e gentilezza.

Ecco forse questa può essere la ricetta del giornalismo del futuro per “andare e vedere”.

 

giovani ucsi 25 gen

 

 

Ultima modifica: Dom 31 Gen 2021

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