E il mio maestro mi insegnò com'è difficile trovare l'alba dentro l'imbrunire

E guarirai da tutte le malattie. Perché sei un essere speciale. Ed io, avrò cura di te”: questo vorremmo poter dire a Francesco Battiato, per tutti Franco, che ci ha lasciati in queste ore, dopo aver accompagnato generazioni di italiani dall’inizio degli anni ’70.

Vorremmo dirglielo, ma non possiamo. Franco ci ha lasciati, oggi, dopo essere uscito di scena già da qualche tempo, ma essendo ancora nelle menti e nelle orecchie di coloro che lo hanno apprezzato e compreso, e magari anche di coloro che non lo hanno mai amato davvero, perché “Battiato è un finto intellettuale”.

A Battiato, che dal sud emigrò giovane per avventurarsi nel mondo discografico milanese e poi nazionale, per prendere il volo, diventare un “nome”, e fare ritorno nella sua isola, di essere definito è sempre importato ben poco; perché, fin dagli esordi di nicchia (all’epoca), con gli album Fetus e Pollution (entrambi del 1972), fu subito chiaro che a questo siciliano sui generis tutto importava tranne che cercare definizioni sicure di sé come artista; Battiato rappresenta forse il più chiaro esempio del carattere ibrido che la popular music italiana ha saputo raggiungere negli ultimi 50 anni; la spiritualità e la “sua” religiosità, abbinate con la ricerca musicale e filosofica, lo hanno spinto a creare brani e interi dischi stranianti al primo ascolto e poi in grado di entrare a pieno titolo nell’immaginario collettivo italiano: si pensi a “L’era del cinghiale bianco” (1979), “Patriots” (1980), o “La Voce del Padrone” (1981) con cui scalò le vette delle classifiche per entrare nella storia...insomma Franco è sempre riuscito a mescolare e ad alludere, creando spiragli di spiritualità e di meditazione raccontati come se fossero canzonette.

Qui sta la grandezza dei grandi, dei Maestri, e Battiato è stato (è) un Maestro, senza la pretesa di esserlo, senza imporre il suo punto di vista sugli altri. Non uomo di cultura ma uomo di culture, di culture “altre” che, attraverso le note e le parole, è riuscito a portare fino a noi, lasciandoci entrare nella sua sfera artistica e mai in quella personale e intima. La meditazione come scelta di vita, lo studio come unico strumento di conoscenza, la riflessività come strategia per diventare sincretico: questo era Battiato, e non è vero che con oggi “sventola bandiera bianca”; con oggi tutti noi possiamo iniziare a portarlo con noi verso “Mondi lontanissimi”.

Oggi mi piace pensarlo così, mentre intona questi versi (da “Povera Patria”, 1991):

Si può sperare
Che il mondo torni a quote più normali
Che possa contemplare il cielo e i fiori
Che non si parli più di dittature
Se avremo ancora un po' da vivere
La primavera intanto tarda ad arrivare

*  L'autore Marco Bracci è dottore di ricerca in sociologia della comunicazione, autore di saggi sulla popular music, tra cui The Dark Side of the Moon. Viaggio nell’identità dei Pink Floyd, Aereostella, 2013. 

Foto: AgenSIR

Ultima modifica: Mar 25 Mag 2021

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