Il duro compromesso per i giovani giornalisti. E la dignità che sarebbe necessaria

Non si trovano lavoratori”: questo sembra il tormentone della stagione estiva 2021, una frase che nelle ultime settimane riecheggia costante nei servizi televisivi dedicati ai ristoratori, agli albergatori, agli stagionali della villeggiatura estiva. Suona strano che tale criticità emerga proprio da quei settori che più di altri hanno subito le drastiche conseguenze della chiusura prolungata, da quei settori nei quali, verrebbe naturale pensare, al primo spiraglio di riapertura le scrivanie dei dirigenti dovrebbero riempirsi dei CV di giovani pronti finalmente a lavorare dopo tanto tempo fermi...

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...“È tutta colpa del reddito di cittadinanza!”, esclama chi sostiene: “Perché uno dovrebbe lavorare se gli viene data la stessa cifra per stare a casa?”. Se è vero, c’è forse da indagare su quale offerta lavorativa venga fatta per rinunciarvi così. Tuttavia, questa diatriba riguarda solo una parte dei lavoratori italiani e, in media, nemmeno poi così tanto giovani. Pensiamo invece ad un altro scenario: questo lungo periodo di incertezza ha spinto tanti giovani a prendere in mano la propria vita lavorativa con un’ottica differente. Si sono reinventati in settori diversi e in molti casi hanno capito che avere una vita non è poi così male. Sì, perché prima, lavorando in determinati settori, non ce l’avevano. Lavorare con orari indefiniti, senza fine settimana e senza feste, portando a casa poche centinaia d’euro al mese e senza sapere per quante altre settimane prima di dover riaggiornare il curriculum, non è vita.

Ma il settore turistico non è l’unico nel quale il rapporto fra il lavoro e la paga offerta inizia a non andare troppo a genio alle nuove generazioni. Ci siamo di mezzo anche noi: i giovani giornalisti e comunicatori. Papa Francesco, nel suo messaggio per l’ultima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, mette in guardia dai rischi di una comunicazione social priva di verifiche e di un appiattimento in giornali fotocopia. Da anni ormai, sempre di più, il nostro settore è criticato per una sempre minor cura nella selezione e verifica delle notizie. Tuttavia, se il dito è stato puntato con facilità verso le nuove generazioni di giornalisti, non è andata di pari passo l’interrogazione profonda sul perché di questa situazione generale.

Davvero è tutta colpa dei social network se l’informazione è sempre più confusa, se gli approfondimenti e le inchieste lasciano spazio ai copia-incolla? Nel 2021 iniziare a collaborare con una redazione giornalistica, anche nelle grandi testate, equivale spesso ad accettare un duro compromesso: barattare la speranza di una carriera da giornalista per pochi euro ad articolo. Talmente pochi che talvolta, contando sulle dita, servono due o tre articoli per arrivare al mignolo della mano. Uno scambio che si fa quando l’ambizione è grande quanto l’ingenuità, ma che diventa difficile quando gli anni sulle spalle superano quelli di chi, nella generazione precedente, aveva già messo su famiglia e poteva far conto su uno stipendio sicuro. È quindi da biasimare un giovane giornalista che, per non spendere più in benzina di quanto prenderebbe dall’editore per l’articolo, preferisce cavarsela con una telefonata o una ricerca online per reperire le informazioni necessarie a scrivere il suo pezzo, anziché scendere in strada e “consumare le suole delle scarpe”? Almeno, fare copia-incolla di un comunicato stampa difficilmente porta a commettere errori madornali, anche se non genera scoop ed è lontano anni luce dal fascino di quel giornalismo d’inchiesta che lo aveva spinto a prendere il tesserino.

Magari però dall’altro lato del computer, ad inviare quel comunicato, c’è un altrettanto giovane addetto stampa. Ma come il lavoro del giornalista non è più quello del passato, nei 21 anni trascorsi dalla legge 150/2000 anche il ruolo dell’ufficio stampa è cambiato. Oggi per gli enti, le istituzioni, le aziende, apparire sui social network conta più che apparire sulla stampa. Ed è qui che spesso il giornalista che si occupa di ufficio stampa deve indossare i panni di una controversa figura: il social media manager. Perché la ovvia, tragica, intuizione del datore di lavoro è: “Sei giornalista e sei giovane: quindi sai comunicare e sai usare i social”. Intuizione che, anche nei rarissimi casi in cui si rivelasse corretta, si trasforma nell’ancora più tragica e letale sentenza: “Stare sui social non è un lavoro, lo puoi fare ad ogni ora”. E quando i commenti al post di Facebook, le reazioni alle foto su Instagram, seguono il giovane comunicatore anche la sera tardi, la domenica, in ferie, lo stress si accumula. E può essere che l’esigenza imposta dall’alto di dare priorità ai social, gli faccia mettere meno impegno nella redazione dei comunicati stampa. Gli stessi che il suo coetaneo collega, dall’altro lato della casella di posta elettronica, non ha tempo di verificare ed approfondire.

Il giornalismo del futuro può ancora essere un giornalismo vero ed un giornalismo di verità. Può esserlo se ai giovani che si apprestano ad intraprendere questo mestiere si offre fiducia, ma non ci si dimentichi di offrire loro anche dignità.

Ultima modifica: Mar 8 Giu 2021