Una nuova agenda di speranza. Prendendo spunto (anche) dallo sport

(#restart-09) L’amico e collega Antonello, direttore di Ucsi.it sempre capace di elaborare pensiero critico e di stimolare dibattito, per questo agosto 2021 ci chiede di dare qualche spunto di riflessione sulle sfide dei giornalisti per il “dopo-Covid”, sulla transizione in corso per la professione nonché sulla sostenibilità etica del giornalismo.

Temi che richiederebbero un ampio approfondimento e ben altre competenze rispetto alle mie, tuttavia proverò a dare qualche flash in connessione con l’attualità dei fatti estivi. Considerati i grandi risultati sportivi conseguiti dagli atleti italiani su tutti i fronti - dalla storica vittoria dell’Europeo di calcio al record di medaglie alle Olimpiadi con le incredibili medaglie d’oro nell’atletica, passando per la finale di Berrettini a Wimbledon e la vittoria di Sinner a Washington - prendiamo a prestito la metafora sportiva che calza a pennello con la situazione della nostra professione di giornalisti e comunicatori. Perché è proprio quando si sta per toccare il fondo che può scoccare la scintilla della reazione, la voglia di rialzarsi, lo slancio per ripartire ed innovare percorrendo strade inedite. Basti pensare alla Nazionale di calcio, uscita distrutta dalla disastrosa gestione Tavecchio-Ventura culminata nella mancata qualificazione ai Mondiali 2018: da lì, da quel fallimento, è iniziata l‘opera di ricostruzione affidata a Roberto Mancini e ad uno staff che anzitutto era composto da amici coesi e compatti negli obiettivi professionali e nell’affetto.

I successi nascono dalla personalità e dall’autorevolezza di chi ha il timone, dalla capacità di aggregare e fare gruppo intorno a un grande traguardo comune, dall’abilità di coinvolgere tutti nel progetto. Quello che hanno fatto anche gli azzurri delle Olimpiadi e del tennis, bravi a creare una complicità di pensiero e di obiettivi con i propri allenatori e ancor più bravi a portare a bordo delle loro avventure personali un’intera Nazione. È così che si vincono le Coppe e le medaglie, ma soprattutto è così che si semina la speranza facendo sentire un Paese finalmente unito e riscattato dopo un anno e mezzo di sofferenze per la pandemia che ancora ci sta mettendo a dura prova.

Ecco perché il giornalismo ed i giornalisti italiani, a partire da quelli che gravitano intorno a questa associazione, hanno il compito di contribuire a ricostruire un’agenda di speranza per l’Italia, di dare vita a una narrazione che sia una grande e accogliente barca con l’anelito del mare, la voglia di lottare per il bene comune e il desiderio di raccontare storie vere e buone, oltre lo scandalismo ed il sensazionalismo, oltre la polemica e le grida dei talk show, oltre il rumore del mondo che generare incomprensioni e disinformazione, attraverso l’utilizzo saggio di parole sobrie e di silenzi ispirati e ispiratori di buone novelle, nell’accezione evangelica.

Del resto, il giornalismo può e deve svolgere ancora una funzione chiave nella società: lo abbiamo visto in tempo di Covid e di lockdown, durante il quale l’informazione è stata l’ancora di salvezza per cementare l’unità nazionale e combattere i rivoli di disinformazione. Continuiamo a vederlo oggi con i vaccini intorno ai quali, al di là del merito della questione, si sviluppa un dibattito avvelenato fondato sull’ideologia e di nuovo sulle fake news gettate in pasto ai social e alle paure della gente in cerca di un colpevole e di un capro espiatorio su cui riversare rabbia sociale. È un crinale pericoloso quello della comunicazione, perché può essere un valore aggiunto per sconfiggere il virus o al contrario può rivelarsi un amplificatore di falsità e di mostri partoriti dalle menti che si moltiplicano con la disintermediazione dei social.

Per questo il giornalismo oggi è chiamato a riscoprire la sua vocazione, quella di chi fa della fedeltà ai fatti e della capacità di narrarli in modo comprensibile e accessibile la propria missione per contribuire al bene comune. Un’azione che non può prescindere dalla deontologia e dalla sostenibilità etica della professione: non c’è buona informazione senza coerenza con i valori e le regole del mestiere, così come non c’è futuro per il giornalismo e per la nostra civiltà senza solide fondamenta morali ed etiche.

Concetti che forse oggi - in un tempo cosi frastagliato e liquido, caratterizzato dal vuoto di voci ispirate profetiche nonché da un’editoria in crisi e alla costante ricerca di un’identità, spesso priva di un’indipendenza economica e di pensiero - possono apparire miraggi lontani dalla realtà. Ma lo sport ce lo ha insegnato: è nel deserto della crisi e nell’aridità della sconfitta che si può tornare all’essenza delle cose, riscoprire l’anima e la verità di una chiamata, imbattersi nell’oasi d’acqua che ristora e restituisce prospettiva. Penso che nessuno avrebbe potuto pronosticare questi risultati combinati tra Europei, Olimpiadi, tornei e slam tennistici internazionali. Eppure è accaduto. Niente è impossibile, soprattutto per chi sa di essere chiamato a mettere il proprio mattone nell’edificazione della cattedrale e la propria goccia nel grande mare, per poi affidarsi con speranza e fiducia alla fantasia di Chi fa dei nostri talenti un capolavoro al servizio dell’umanità.

Ultima modifica: Lun 23 Ago 2021