Terra bruciata e nuovi semi

(restart-12) Nella discesa verso Sud in direzione “vacanze”, mentre tento di staccare da tutto (anche dalla professione) dopo un anno particolarmente faticoso, ecco che un incendio – divampato in prossimità dell’autostrada e difficile da domare – rimette in moto in un attimo il mio occhio da osservatrice.

Il fumo nero, una nube scura davvero vastissima, si vede a distanza di chilometri eppure, mano a mano che ci avviciniamo, i particolari si fanno più precisi e anche la percezione delle conseguenze è più evidentè: dopo un’ora e mezza per percorrere una ventina di chilometri con uscita obbligatoria dall’autostrada – tempo nel quale è possibile notare l’assenza di pattuglie che aiutino lo scorrimento del traffico molto intenso, la presenza di caligine che offusca in parte la luce del sole, lo stato di scarsa manutenzione del verde che costeggia la strada, l’arsura dei pochi rivoli d’acqua, una volta fiumi in corsa verso il mare – la sosta tecnica mi mette davanti ad una realtà ben più grave di quanto avevo percepito dall’abitacolo della macchina.

In un tempo ancora pandemico, in cui coprirsi naso e bocca è necessario e prudente per muoversi ed accedere agli ambienti chiusi della stazione di servizio, la mascherina si rivela strumento utile per filtrare, almeno in parte, il fumo denso che impregna l’aria. Ciò che era una percezione di caligine diventa in un attimo coltre di pulviscolo e frammenti che ricoprono veicolo e vestiti. Il caldo torrido, che già imperversava ma era mitigato in macchina dall’aria condizionata, diventa ancora più insopportabile e sento, con chiarezza, che la terra e i nostri corpi bruciano. Letteralmente. Mi guardo intorno e un favoloso tramonto, che in altre circostanze sarebbe finito su Instagram per la sua bellezza, mi lascia una grande sensazione di amarezza e dolore: quella luce sfocata, in realtà, è frutto delle fiamme che stanno divorando ettari ed ettari di vegetazione. Scatto una foto (quella che vedete) a titolo di cronaca e tutto questo mi si deposita dentro l’anima e non mi lascia per lunghi e lunghi giorni, nei quali, tra l’altro, farò i conti con altri quotidiani e innumerevoli incendi nei luoghi del riposo. Tutti segni e conseguenze dell’emergenza climatica che ci sta avvolgendo e si sta facendo sempre più vicina alla nostra quotidianità, con l’acqua che scarseggia – e a volte viene razionata – il mare che si riscalda e le temperature che si alzano.

Il giorno dopo ogni incendio il paesaggio si presenta raso al suolo. Solo terra bruciata e qualche resto di vegetazione. Eppure, il giorno dopo la terra ricomincia. Chi la abita ricomincia. Ricominciano dal nulla rimasto, con lacrime, fatica e determinazione. Ma da dove? Questo “dove” me lo hanno raccontato gli ulivi del Salento. Ciò che rimane di questi alberi secolari – piante ormai secche e contorte, uccise dalla xylella, che disegnano paesaggi spettrali – è il dolore di chi li piange. Ma di fronte a tanta morte, inizia ad intravedersi tanta nuova vita: piccoli nuovi ulivi appena piantati – di varietà diversa – fanno capolino qua e là come germogli di speranza. È il nuovo tempo della semina, paziente ed abbondante, della quale gli attuali seminatori non vedranno presumibilmente i frutti. Doloroso? Certo. Ma è un dolore pieno di luce.

Vedo proprio così questo #restart della professione, che mi viene sollecitato come riflessione estiva: come il tempo della semina paziente, abbondante, generosa, silenziosa. Magari lontano dai riflettori per chi scrive per poter dare voce e luce alle storie, alle persone, ai piccoli segnali di speranza che, in mezzo a tanta devastazione, si fanno timidamente spazio. Una semina di valori, di attenzioni, di ascolto, di contenuti, frutto di quei substrati necessari che sono l’ecologia integrale e la fraternità universale, saggiamente suggeriti da Papa Francesco.

La pandemia è stata un incendio annunciato anche per la professione giornalistica. Nel quale gli “inneschi” erano pronti ad esplodere da tempo: lavoro precario e sottopagato, svuotamento delle redazioni, giornali fotocopia, titoli roboanti e spesso fuorvianti, mancato rispetto della deontologia, mancanza di politiche editoriali lungimiranti, ripetizione di dinamiche e meccanismi che premiano il (poco) profitto e non la qualità, ordine delle notizie dettato da ragioni economiche... questa è la terra bruciata dalla quale è necessario ripartire per piantare il nuovo: quel nuovo i cui frutti, a Dio piacendo, saranno raccolti un giorno dalle nuove generazioni di giornalisti.

Foto dell'autrice, Luisa Pozzar

Ultima modifica: Gio 26 Ago 2021