Dieci domande (vecchie e nuove) per questo primo maggio

La festa del primo maggio, ogni volta, costituisce un momento di riflessione sul lavoro (e sui lavoratori). Anche sulla nostra professione di giornalisti, naturalmente, che esce profondamente cambiata dai due anni di pandemia. Siamo meno di prima, spesso più poveri, talvolta disorientati rispetto alla tecnologia che avanza e assorbe ruoli e competenze.

Avevamo creduto che dopo il periodo più duro fosse possibile preparare una ripartenza realistica e sostenibile (anche sotto il profilo etico) dell’informazione professionale. Ci siamo illusi, probabilmente, ma non perdiamo del tutto la speranza. E rilanciamo, aggiornandole, le dieci domande che ci eravamo posti nel 2020. Cercheremo nuove risposte da tanti nostri interlocutori, con il loro aiuto proveremo ad individuare gli scenari futuri, ascolteremo anche le voci dal nostro interno, soprattutto dei nostri giornalisti più giovani.

1. Quale preparazione è davvero necessaria oggi per il giornalista, alla luce dell’esperienza di questi ultimi due anni? Come impostare i nuovi percorsi di studio e formazione per il futuro?

2. L’organizzazione del lavoro, anche nelle redazioni più strutturate, è molto cambiata. La molteplicità delle fonti a disposizione (un flusso multimediale ininterrotto) ha reso più centrale il ‘desk’, il lavoro di mediazione e rilancio in redazione. Molte interviste si fanno ancora in collegamento da remoto, persino per documentare la guerra si ricorre prevalentemente ai freelance. Che effetti produrrà questo modello nel medio e lungo termine?

3. La crisi economica e di introiti per le aziende editoriali ha messo a rischio per molti il lavoro e rende estremamente difficile l’inserimento di nuove professionalità. Come possiamo riequilibrare il sistema?

4. Oltre alla difficoltà di inserire i giovani, che spesso trovano la porta chiusa persino per stages e tirocini, c’è il problema enorme di chi esce dal mercato del lavoro giornalistico senza tutele e prospettive. Quali interventi sono auspicabili?

5. I più penalizzati sono stati certamente i ‘precari’ dell’informazione. I sostegni economici, quando ci sono stati, si sono rivelati insufficienti. Quale futuro si prospetta adesso per loro? Quali regole dobbiamo introdurre perchè il salario sia almeno dignitoso?

6. Per i duemila giornalisti con un contratto nelle emittenti televisive locali (e per tutto il personale che vi lavora) si apre una fase con un’altra incognita: il passaggio al “nuovo digitale”. Costa molto e penalizza tante realtà consolidate. C’è il pericolo che esse chiudano o riducano gli investimenti. Come tutelare tutti questi lavoratori?

7. Prima il Covid, ora la guerra. Sono argomenti che monopolizzano giornali, telegiornali e pagine web. E lasciano poco spazio a tutto il resto. E’ ancora possibile fare informazione su ‘altro’? Rovesciare, quando è saggio e opportuno, l’ordine delle notizie?

8. Come andrebbe orientata l’informazione istituzionale (dello stato e degli enti locali)? Quali criteri (anche nuovi) dovrebbero ispirarla? E qual è oggi il ruolo del giornalista nella pubblica amministrazione? Anche l’informazione religiosa è cambiata. Lo stato di necessità, soprattutto nella prima fase dell’emergenza sanitaria, l’ha posta al centro degli interessi di molti. Deve modificarsi anche il modo di farla? E come?

9. L’impennata di ascolti delle tv allnews e la grande audience dei siti aggiornati in tempo reale ci stanno portando di fatto ad un nuovo modello di informazione? Quali rischi corriamo?

10. quale ruolo dovrebbe avere, in virtù di queste e altre considerazioni, un’associazione come l’Ucsi?

Ultima modifica: Dom 1 Mag 2022