Il giornalista deve imparare ad ascoltare. Anche se stesso

Non è mai facile ascoltare, per un comunicatore. Lo è ancora meno farlo con “l’orecchio del cuore”, come chiede oggi papa Francesco nel suo messaggio per le comunicazioni sociali.

Un passaggio intermedio, in una tensione positiva verso il nostro obiettivo, potrebbe essere quello di ascoltare “con attenzione”, sempre rispettosi dei fatti, oltre che delle idee e delle tesi degli altri. Senza voler prevaricare né primeggiare. Senza cercare il consenso ad ogni costo e senza inseguire clic e like. E senza ovviamente alterare la realtà perché “ci fa comodo”.

L’ascolto attento porta con sé alcuni vantaggi: il rispetto della verità, la correttezza dell’esposizione, l’empatia. Ci rende credibili, più forti.

C’è un altro risvolto del “buon ascolto”, secondo me. Il giornalista deve imparare ad ascoltare anche se stesso. A leggere i propri pezzi immaginandosi dalla parte delle persone di cui parla, a vedere e rivedere più volte le immagini che utilizza, a misurare il tono e l’enfasi delle parole. E anche a valutare bene l’impatto dei titoli (che finiscono per essere spesso l’unico cosa che la gente davvero legge).

Un’altra azione che possiamo fare è quella della selezione (certo oculata e ragionevole) delle notizie. Durante il suo discorso ai giornalisti dell’Ucsi, nel settembre 2019, il Papa rivolgeva un forte appello in questa direzione: «Non abbiate paura di rovesciare l’ordine delle notizie, per dar voce a chi non ce l’ha». Bene per esempio hanno fatto l’Avvenire e (pochi) altri giornali a dare conto con forza e con continuità dell’emergenza umanitaria globale che sta provocando la guerra: la carestia, la fame, soprattutto nei Paesi più poveri.

Anche questo è l’ascolto nuovo che ci fa crescere come giornalisti

Ultima modifica: Sab 28 Mag 2022

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