Gli obiettivi dello sviluppo sostenibile, visti dai giornalisti

Proponiamo oggi, per la nostra rubrica #deskdelladomenica, gli abstract delle ricerche di 'Università Salesiana e Ucsi, contenute nel libro "Pensare il futuro". Qui la prima parte (la sensibilità che su questi temi hanno i giovani).

L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile è stata sottoscritta nel settembre del 2015: sono dunque ormai sei anni che esiste e ne mancano solo nove per raggiungere gli obiettivi che propone. È dunque lecito chiedersi se l’informazione l’abbia recepita e in che misura. I suoi obiettivi infatti, hanno bisogno dell’informazione: non possono essere raggiunti se non attraverso la convergenza di scelte politiche, economiche e culturali; scelte fatte ed attuate dalla politica, dalle istituzioni, dalle varie componenti della società civile, ma anche scelte individuali dei cittadini. E non ci può essere convergenza sulle scelte se non c’è condivisione degli obiettivi.

Ma l’informazione mainstream, riesce ad assolvere questo delicato, ma fondamentale compito? Quali difficoltà incontra, laddove abbia la disponibilità per farlo? Per rispondere è nata questa ricerca qualitativa, che attraverso una serie di interviste guidate ha dato voce da una parte a chi l’informazione la costruisce (direttori/direttrici di testata e giornalisti/e), dall’altra a chi avrebbe i contenuti da offrire all’informazione (le fonti).

(per la presentazione della ricerca leggi qui)

Hanno risposto 9 direttori, 8 giornalisti, 7 enti.

I direttori intervistati sono: Fabio Bogo, direttore responsabile di Green&Blue (mensile e content hub digitale, dedicato principalmente ai temi dell’ambiente, della sostenibilità dell’innovazione per la transizione ecologica); Luigi Contu, direttore responsabile dell’agenzia ANSA; Emanuele Dessì, direttore responsabile del gruppo Unione Sarda (quotidiano), con Videolina (tv), UnioneSarda.it (web), Radiolina (radio); Luciano Fontana, direttore responsabile del Corriere della Sera cartaceo e web; Michele Partipilo, direttore responsabile della Gazzetta del Mezzogiorno, quotidiano cartaceo e web; don Antonio Rizzolo, direttore di Famiglia Cristiana settimanale cartaceo e web; Simona Sala, direttrice della testata RAI Giornale Radio e di Radio Uno; Andrea Tornielli, direttore editoriale presso il Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, cui fanno capo il quotidiano cartaceo L’Osservatore Romano, il sito web Vatican News (web) e Radio Vaticana; Giuseppe Vecchio, direttore responsabile de La voce dell’Jonio, testata non profit on line.

Gli otto giornalisti intervistati sono: Maurizio Di Schino di TG2000; Cristina Gabetti di Striscia la notizia, programma televisivo di intrattenimento; Vincenzo Iurillo del quotidiano Il Fatto; Helena Jovanovič, della RAI (sede di Trieste); Marilù Mastrogiovanni, collaboratrice della testata web Il Tacco D’Italia e di Scuola E Amministrazione (mensile cartaceo e on line); Anna Pozzi, freelance, collaboratrice del mensile Mondo e Missione; Antonello Riccelli, coordinatore di Telegranducato (che ha risposto anche a nome della redazione); Paolo Seghedoni, del quotidiano Gazzetta di Modena.

Non si può definire un campione statisticamente rappresentativo, quanto piuttosto un campione di convenienza, perché hanno scelto di rispondere quelli che sapevano di avere qualche cosa da dire, in genere perché già impegnati nel fare informazione sull’Agenda o sui suoi temi. Si è comunque cercato di avere testimoni di testate diverse: nazionali e locali, su diversi mezzi di comunicazione, di diverso orientamento culturale.

Quanto alla scelta delle fonti, sono stati privilegiati enti della società civile, essendo il rapporto tra l’informazione mainstream e quest’ultima da sempre problematico. L’ANSA, che in quanto agenzia per i giornalisti è una fonte, qui viene interpellata come testata, in quanto parte del mondo professionale giornalistico.

L’Agenda nelle redazioni

Con direttori/direttrici e giornalisti/giornaliste si è cercato di capire in che modo l’agenda si è conquistata spazio nelle redazioni. La premessa è che sui tre elementi fondamentali dell’Agenda – ambiente, inclusione sociale e crescita sostenibile – già si lavorava e che comunque questa indagine è stata fatta dopo due anni di pandemia e di conseguenti emergenze sociali e crisi economica.

Le testate riconducibili ad una matrice culturale cattolica, inoltre, erano spinte ad occuparsi dei temi dell’Agenda anche dall’insegnamento dei papi: Francesco in particolare (la “Laudato Si’” è del 2015 come l’Agenda), ma anche i precedenti.

Detto questo si registra qui una prima differenziazione, tra testate grandi e testate piccole. Semplificando, possiamo dire che nelle testate più grandi ci sono stati cambiamenti profondi: man mano che alcuni temi si imponevano, gli si dedicavano più spazi, o addirittura se ne aprivano di nuovi, con nuovi prodotti, nuovi progetti, investendo quindi anche in risorse umane. Nelle testate più piccole ci si è limitati a ricavare qualche spazio nella programmazione, foliazione od organizzazione ordinarie.

In genere, i giornalisti appaiono un po’ più pessimisti dei direttori, nel valutare il “peso” dell’Agenda sull’informazione e fanno notare che alcuni temi sono entrati nel lavoro ordinario solo negli ultimi due o tre anni, grazie ad una serie di concomitanze: il movimento dei Fridays for Future, la pandemia, il PNRR e così via. Ciò nonostante, da quando è entrata in redazione l’Agenda ha «cambiato l’approccio ai temi dello sviluppo sostenibile»; «c’è maggiore attenzione e un’informazione più completa che genera sul territorio una sensibilità più diffusa»; è diventata «un punto di riferimento per poter fare un giornalismo basato sui dati».

Se comunque la scelta di investire spazi e strumenti sull’Agenda appare legata alla disponibilità di risorse, più che a valutazioni di merito, quella di accompagnare l’approfondimento alle notizie sembra trasversale a grandi e piccoli: tutti riconoscono la necessità di non limitarsi a dare notizie di cronaca, ma di offrire approfondimenti di vario tipo.

Gli obiettivi che hanno più spazio

Energia, transizione ecologica, welfare, parità di genere, educazione: sembrano questi i cinque temi dell’agenda che occupano più spazio nell’informazione, ma con molte eccezioni, dovute soprattutto al fatto che gli obiettivi sono strettamente legati tra loro.

Questi sono comunque i temi che incrociano maggiormente la cronaca, anche quella locale, con cui si confrontano le testate più legate ai territori (per fare un esempio pensiamo a come influenza l’agenda dell’informazione l’Ilva a Taranto).

Sui temi però si evidenzia una seconda differenziazione: mentre le testate laiche sembrano privilegiare i temi ambientali, quelle cattoliche segnalano come centrale il tema della povertà e delle disuguaglianze, e in seconda battuta la pace, intesa non solo come assenza di conflitti, ma anche come solidarietà.

La formazione dei giornalisti

Se può essere scontato che una testata specializzata abbia una redazione costituita da specialisti in materia, o che testate grandi abbiano al proprio interno giornalisti esperti, più articolato diventa il discorso sui redattori e collaboratori in altre testate, la maggior parte delle quali ha affrontato un periodo di transizione, per fortuna basato su un dato positivo: l’interesse e la disponibilità dei redattori. Anche sul tema della competenza specifica dei giornalisti, dunque, si evidenzia una differenziazione, tra le testate grandi, che possono contare sulla presenza di esperti o possono reclutarli, e quelle medie e piccole, per le quali questo è più difficile.

Il tema della formazione, comunque, è stato risolto sul campo – ci si forma partecipando agli eventi, studiando i rapporti, occupandosi con continuità di un tema – e affidandosi all’impegno personale nell’aggiornarsi e approfondire.

Il rapporto con le fonti

Naturalmente, è ampio e variegato il ventaglio delle possibili fonti d’informazione sui temi legati agli obiettivi dell’Agenda. I direttori interpellati citano principalmente – o meglio quasi esclusivamente – fonti istituzionali primarie (agenzie, Università e centri di ricerca, enti nazionali come l’Istat o la Banca d’Italia e internazionali...) e secondarie (interviste a personaggi pubblici o del mondo della ricerca, altri giornali, spesso stranieri...), anche se qualcuno ricorda la necessità di “dare voce alla gente”, più che altro per rendere meno noiosi i servizi.

Con l’eccezione di ASVIS, le fonti della società civile sono citate più dai giornalisti che dai direttori e soprattutto dalle testate cattoliche (ed ecco un’altra differenziazione), che dichiarano di valorizzare programmaticamente associazioni, movimenti, chiese locali eccetera.

Strettamente legato al problema di “quali fonti” privilegiare, si pone quello del rapporto da stabilire con esse. I giornalisti vorrebbero non essere solo altoparlanti che diffondono ciò le fonti decidono di rendere pubblico. Vorrebbero poter stabilire rapporti di collaborazione, che diano anche la possibilità di porre domande ed ottenere risposte. Ma rapportarsi alle fonti non è sempre facile, per almeno due motivi: il linguaggio e il fatto che non adottano criteri di notiziabilità in sintonia con quelli giornalistici. Inoltre, i giornalisti denunciamo la poca propensione delle fonti istituzionali a collaborare, rendendosi disponibili a fornire risposte, approfondimenti, materiali aggiuntivi.

Tutti però riconoscono che negli ultimi anni c’è stato un innesto di professionalità della comunicazione in alcuni mondi: università, associazioni datoriali, organizzazioni sindacali hanno capito che è importante affidarsi a professionalità sicure.

Lo spazio dell’Agenda 2030

I giornalisti sono piuttosto critici con le testate in cui lavorano: la maggior parte di loro ritiene che non si occupino sufficientemente dell’Agenda 2030, oppure che lo facciano in modo non abbastanza continuativo (ma anche su questo c’è una differenziazione: l’insoddisfazione riguarda soprattutto le testate medio-piccole).

I giornalisti sono critici anche nei confronti dell’informazione mainstream nel complesso: pur riconoscendo che alcuni esperimenti interessanti ci sono, e che la pandemia e il Pnrr stanno in qualche modo fungendo da acceleratore, lo spazio dedicato all’Agenda appare ancora insufficiente.

I motivi sono legati ai mali strutturali della nostra informazione: la fretta, per cui non c’è tempo per inchieste e approfondimenti; la tendenza a rincorrere la cronaca; la tendenza a politicizzare l’informazione e a “ricadere nelle logiche della propaganda”; l’influenza dei modelli aziendali basati sulla pubblicità.

Ma su questi punti c’è una distinzione importante, fatta notare da più di un intervistato: un conto è fare informazione sui temi dell’Agenda, un altro conto informare sull’Agenda stessa. Oggi i temi – soprattutto alcuni – hanno spazio; lo strumento, cioè l’Agenda molto meno. E quindi molti non la conoscono, né sanno a che punto siamo rispetto agli obiettivi e se ci stiamo avvicinando ad essi, e cosa davvero serve per raggiungerli.

Anche da questo discende una certa vaghezza, a volte, nell’affrontare alcuni temi oppure l’usura di alcuni termini, come “sostenibile” o “green”, diventati talmente di moda da avere perso contorni semantici chiari.

Gli interessi del pubblico

In questo momento, secondo i professionisti e le professioniste dell’informazione, gli obiettivi che interessano maggiormente il pubblico sono quelli che riguardano il clima e quelli legati all’ambiente, anche perché ogni grande evento e ogni catastrofe risvegliano l’interesse. E al tema dell’ambiente sono connessi quelli dell’energia pulita e della transizione ecologica.

Ancora una volta, sono i media cattolici a differenziarsi, segnalando il tema della povertà come quello che coinvolge di più, per una questione di empatia o perché legato ad altri problemi, come la fame, l’acqua pulita, la salute, rilanciato dal diffondersi della pandemia da Covid 19.

PARLANO LE FONTI

Sono stati intervistati Antonio Barone, responsabile della comunicazione WWF Italia, ong impegnata soprattutto negli obiettivi 13, 14, 15; Gigi Borgiani, coordinatore del Tavolo Giustizia E Solidarietà (1,2,3,4 8,11,12); Carlo Borgomeo, presidente di Fondazione Con Il Sud (8, 10, 11), Alfonso Cauteruccio, presidente di Greenacord (6, 7, 11, 13, 14, 15); Stefano Laporta, presidente Ispra (6, 7, 11, 13, 14, 15); Ottavia Ortolani (e Giulio Loiacono), responsabile progetti comunicazione advocacy Asvis (tutti gli obiettivi); Roberto Sensi, Policy Advisor e Advocacy sul programma “Diseguaglianze globali” di Actionaid Italia (1, 2).

Le priorità nell’impegno comunicativo

Prendersi cura della comunicazione, per gli enti intervistati, ha un presupposto: che ci si sia presi cura dei contenuti. E quindi l’impegno è prima di tutto di pubblicare rapporti o fornire informazioni attendibili, complete e affidabili.

Il secondo passo è quello di proporli con linguaggi che ne facilitano la comunicazione. C’è dunque una divergenza tra quanto emerge dai giornalisti (secondo i quali le fonti spesso parlano un linguaggio tecnico, difficile da “tradurre” e divulgare), e quanto affermano le fonti, che si dicono

impegnate esattamente su questo fronte, usando immagini, diversificando gli strumenti di comunicazione. Nella loro critica, però i giornalisti sembrano riferirsi soprattutto alle fonti istituzionali, mentre qui sono state interpellate soprattutto fonti della società civile.

Tutti gli enti intervistati hanno un ufficio stampa e i responsabili sono giornalisti. E tutti sono impegnati nella gestione di strumenti diversi: tradizionali (ufficio stampa, newsletter, sito, eventi...) e nuovi (social media, video, webinar...). Anche i linguaggi praticati, di conseguenza, sono estremamente diversi: al linguaggio scritto e grafico degli articoli, dei comunicati, dei rapporti e delle pubblicazioni e a quello orale degli eventi in presenza od online, si aggiunge la produzione di immagini fotografiche, video e, per Ispra, anche documentari. Sembra di cogliere, comunque, una certa centralità del sito web, che diventa un po’ il punto di convergenza dei vari contenuti, variamente diffusi.

Il rapporto con i giornalisti

Nonostante l’investimento fatto da questi enti nell’acquisire professionalità in ambito comunicativo e nel cercare di venire incontro alle richieste dei giornalisti, il rapporto con questi ultimi resta segnato da alcune difficoltà, probabilmente di natura strutturale. C’è prima di tutto un problema relativo ai criteri di notiziabilità delle testate giornalistiche. Vista la capacità dei media di influenzare la scelta dei temi all’ordine del giorno, se alcuni contenuti non sono in quel periodo nell’agenda mediatica, non passano, per quanto impegno di possano mettere gli enti.

C’è poi un problema relativo alle routine delle redazioni, focalizzate sulla cronaca, e ai tempi di produzione delle notizie, che determinano uno short-termism, cioè un pensare a corto respiro.

C’è infine un incongruenza con i criteri di notiziabilità adottati nelle redazioni, incentrati sull’emergenza, sulla notizia drammatica, sulla novità.

Cosa fa notizia

A fare notizia sono soprattutto i rapporti, frutto di ricerche e quindi ricchi di dati e anche di ipotesi interpretative. Naturalmente, tutto è più facile se si lavora su un tema popolare, come quelli legati all’ambiente.

Alla domanda se ci sono temi più difficili di altri da veicolare ai media, ognuna delle fonti interpellate tende a indicare quelli di cui si occupa maggiormente: sintomo di un rapporto ancora frustrante tra le fonti e gli organi di informazione.

Ci sono poi temi che incrociano più di altri il rapporto tra informazione e politica, rimanendone prigionieri. Il caso più evidente è quello dell'immigrazione, di cui si parla molto, ma in modi stereotipati e secondo narrazioni – come quella securitaria – con forti implicazioni politiche.

Trasversale a tutti i temi è invece il problema delle buone notizie, ancora una volta legato ai criteri di notiziabilità: le buone notizie non hanno rilevanza e, se prese in considerazione, vengono facilmente relegate in spazi e rubriche “dedicati”, dove restano un po’ ghettizzati.

Collegato a questo c’è un altro problema irrisolto: quello che riguarda le realtà non profit, spesso ignorate – soprattutto se si occupano di sociale – perché inserite in cornici narrative stereotipate, che impediscono di considerarle fonti di informazione interessanti e di valutarne l’impatto.

Cosa chiedono i giornalisti

Le richieste dei giornalisti variano molto da testata a testata, anche in base al livello di specializzazione con cui lavorano. Oltre ai dati i giornalisti chiedono storie, e questa è una prospettiva che ha due facce: da una parte sono importanti per cercare di contestualizzare quello che i goal significano, dall’altra rischiano di occupare anche lo spazio che andrebbe ai dati e agli approfondimenti. Di qui la preoccupazione di «superare lo stereotipo per cui funzionano solo le storie...».

Sempre di più, inoltre, i giornalisti chiedono, oltre alle notizie, anche materiali per confezionarle: immagini, video e fotografiche di qualità.

La formazione del giornalisti

Il giudizio sulla formazione dei giornalisti vede in genere più pessimisti gli intervistati che si occupano soprattutto di temi sociali e più positivi quelli si occupano soprattutto di ambiente e clima. Alcune delle fonti interpellate organizzano corsi di formazioni con i crediti rilasciati dall’Ordine dei Giornalisti, cercando così di dare il proprio contributo all’aggiornamento e alla formazione dei professionisti.

Lo spazio per l’Agenda 2030 nell’informazione mainstream

È difficile, per gli intervistati, valutare se l’informazione mainstream dia sufficiente spazio all’Agenda. Ancora una volta torna la distinzione tra i temi e l’Agenda in senso stretto, con i suoi obiettivi, che non rientra nelle priorità dei media... Prevale quindi la valutazione che vede l’Agenda decisamente trascurata.

In altre parole, da una parte c’è il rischio del green washing, cioè dello spammare parole entrate nell’uso e nella sensibilità comune, per accattivarsi le simpatie del lettore (o del consumatore, quando a farlo sono le imprese); dall’altra c’è il rischio che molte buone prassi o addirittura esperienze entrate nel modo abituale di produrre e lavorare, non vengano comunicate (come abbiamo detto, ciò che è normale, quotidiano o positivo non fa notizia).

LE PROPOSTE

Sia ai professioni/professioniste dell’informazione, sia alle fonti è stato chiesto di fare proposte per un’informazione più ampia e più completa sull’Agenda 2030. Sono emerse idee molto diverse tra loro, di cui elenchiamo qui sono alcuni esempi.

• Stanziare fondi ad hoc, perché le testate possano sviluppare rubriche specifiche su questi temi...

• Andrebbe fatta una fotografia puntuale, da parte dell’informazione, dello stato di avanzamento degli obiettivi, anche perché un conto è discuterne, un conto è declinarli in attività amministrative, di governo e di politiche globali.

• Servirebbe un’opera di sensibilizzazione attraverso grandi comunicatori come influencer, personaggi tv, scienziati noti al pubblico, anche istituendo una giornata dedicata (come ad esempio c’è una giornata dedicata alla Shoah).

• Creare un’app, un “calcolatore universale”, che quantifichi quanto ogni comportamento sbagliato incida sull’ambiente, e quanto invece un comportamento corretto lo aiuti. Oppure aprire sui siti web delle testate programmi che consentano di catalogare i comportamenti della giornata e dare un punteggio di modo da stimolare il raggiungimento di determinati obiettivi.

* Coinvolgere non solo le scuole, ma anche gli organismi della società civile in progetti di sensibilizzazione.

* Il non profit dovrebbe “appropriarsi” maggiormente dell’Agenda, che può dare propulsione al settore.

Ultima modifica: Sab 2 Lug 2022

UCSI - PI 01949761009 - CF 08056910584 - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 224 del 29/09/2014 - Tutti i diritti riservati