Dopo Alika, le tante domande per la politica e il giornalismo

@unastoriache (5) - La storia è quella di Alika, giovane nigeriano, che un giorno parte da San Severino Marche, paese dell’interno della regione, dove abita, per raggiungere Civitanova Marche, un centro costiero che d’estate è certamente più adatto alla sua attività di commerciante ambulante.

Non è facile trovare qualcuno che ti dia retta, vendendo accendini e cose del genere, nell’afa e nel clima torrido di questa estate, in cui l’unica cosa che si cerca è il refrigerio e un bagno al mare. Alika, tuttavia, deve mettere insieme il pranzo con la cena della sua famiglia, e può capitare di essere più insistenti del solito.

Alika è conosciuto e anche benvoluto, in quella terra. Succede, però quello che non dovrebbe succedere: incontra una persona che probabilmente ha problemi di stabilità psicologica, ne nasce un’aggressione micidiale, Alika muore, schiacciato a terra, asfissiato. Nessuno interviene, ma la scena viene ripresa, fa il giro del mondo, e nel mondo c’è pure la moglie, una povera donna per la quale la vita cambierà per sempre. Su questa morte avvenuta in quattro minuti si è scritto di tutto.

Chi ha invocato il razzismo, chi ha escluso il razzismo, chi ha messo insieme quattro episodi che, caso abbastanza unico, sono avvenuti in poco tempo in un fazzoletto di terra di pochi chilometri quadrati: l’omicidio di Pamela a Macerata con il conseguente tiro a bersaglio contro persone di colore; a Fermo l’omicidio di Emanuel, che si era salvato dal viaggio della speranza dal continente nero per morire di razzismo a Fermo; dopo Alika, infine, un altro omicidio, fra cugini, sempre a Civitanova, sembrerebbe per motivi di droga.

Queste le storie, i fatti. Spesso i fatti sono voracemente consumati dai media per essere poi velocemente archiviati. Molti, nelle Marche e fuori, già hanno dimenticato le tragedie di Emanuel e Pamela. Fa comodo pensare che si tratti di ‘episodi’, casi isolati, congiunture sfavorevoli.

Mi piace, allora, sottolineare la riflessione del sociologo, casualmente fermano, Massimiliano Colombi, che avverte: “sono fiumi carsici, che ogni tanto affiorano, per farci capire che esistono, cosa si stia muovendo nel tessuto sociale, quale pericolosa confusione si stia generando. Una delle domande di fondo è: “Quale sguardo abbiamo nel leggere questi fatti? L’informazione, la politica, la società, assumono lo sguardo della vittima o dell’aggressore? Eppure sarebbe semplice riconoscere le vittime: Emmanuel, Pamela, i ragazzi di colore bersagliati, Alika. In realtà non è così sempre, ce lo dobbiamo dire, come dobbiamo dirci che in una società civile non abbiamo altra scelta se non metterci dalla parte delle vittime”. “Tutti prendono le distanze dal razzismo? A Civitanova vittima e aggressore non sono marchigiani? Vero, risponde Colombi. Ma fra chi stava a guardare c’erano i marchigiani... E comunque sono persone. Allora, ponendo il caso che la vittima non fosse stata di colore, non basta dire: ‘Non siamo razzisti” Occorre anche saperlo dimostrare”.

Ecco quindi che da un fatto, da pochi fatti, che spesso si dimenticano in fretta, emergono questi ‘fiumi carsici’ che interrogano le nostre coscienze, di persone, politici, giornalisti. Tutti abbiamo le nostre piccole o grandi responsabilità sul come ‘cammina’ la società. Tutti potremmo trovarci ad assistere a un omicidio del genere, a scriverne, a elaborare norme di comportamento. Tutti abbiamo la possibilità di arrivarci, se possibile, preparati.

Ultima modifica: Gio 11 Ago 2022