L'esempio finlandese e le 'cose da parrocchia'
Alcuni osservatori internazionali adesso parlano di “modello finlandese” nella lotta alle fake news. Di cosa si tratta? Semplicemente di buona educazione alla selezione delle notizie, distinguendo il vero dal falso.
Come si fa? Soprattutto attraverso percorsi scolastici, che lì sono stati avviati già nel secondo dopoguerra e che hanno reso più forti i cittadini di fronte alla disinformazione.
La conseguenza è stata anche che è più alta in Finlandia la fiducia nei giornalisti (secondo Reuters praticamente il doppio che in Italia).
Di questo tema e dell’esempio scandinavo, molto importante in questa fase di guerra e tensioni internazionali, si è discusso in una iniziativa dell’Ordine dei giornalisti della Liguria.
Ci sono servizi pubblici di verifica delle notizie e, oltre all’educazione scolastica, anche i media danno direttamente consigli e indicazioni. Sono messaggi rivolt soprattutto ai più giovani, che così a loro volta diventano abili nello smascherare le notizie false.
La storia la racconta Wired Italia ed è certo molto significativa. L’esempio di Helsinki può essere esportato? Immaginiamo di sì, anche se le premesse sono molto diverse. Il contesto qui è certamente più complesso. E anche l’alfabetizzazione digitale è più bassa.
Penso però che potrebbe essere anche una “cosa da parrocchie”, nel senso che l’educazione alla comunicazione potrebbe davvero passare attraverso la Chiesa locale, in tutte le sue articolazioni. Qualche anno fa, dalle mie parti, abbiamo sperimentato l’abc della comunicazione. Avevamo un piccolo sussidio artigianale, da distribuire alle persone (tante davvero) che partecipavano agli incontri, costruivamo con loro un piccolo telegiornale o un giornale on line, guardavamo tanta televisione e tutti i social per smascherare la finzione. Ha funzionato? Non saprei, ma certo ha interessato, parecchio. Potrebbe essere una bella strada da percorrere con l’apporto dei tanti giornalisti volontari nelle nostre associazioni di comunicazione.