Che fine ha fatto oggi il 'genio femminile'?

Che fine ha fatto la «Mulieris Dignitatem» invocata, il 15 agosto di 30 anni fa, dalla lettera apostolica di Giovani Paolo II? E come viene trattato dai media il cosiddetto «genio femminile» riconosciuto dal pontefice polacco?

A giudicare da come le donne vengono raccontate nel mainstream comunicativo, oggi, non c’è da stare molto allegri. E non soltanto per l’orrorifica ondata di ginecidi e di violenze di genere che ormai ha assunto i toni contabili di un bollettino di guerra, con la registrazione puntuale del numero delle vittime di quello che è il volto (visibile) di ciò che Susan Faludi chiamava “Backlash”: ossia il contraccolpo del conflitto (invisibile) dichiarato dagli uomini alle donne. Tanto da spingere, questo 8 marzo, le militanti del movimento «Non una di meno» a un grande sciopero, produttivo e riproduttivo, che per certi versi ricorda l’astensione pacifista di Lisistrata, eroina della commedia greca di Aristofane. E non c’è da stare allegri nemmeno - volendo pensare alla dimensione del lavoro, non a caso tema cruciale della prossima Settimana sociale dei cattolici - per i dati ormai a tutti noti di un universo femminile mediamente più istruito ma meno pagato (a parità di ruoli) degli uomini: tanto da fa esclamare a papa Francesco, attentissimo alle questioni sociali: «Scandaloso che le donne guadagnino meno degli uomini!».

Ma il problema della questione femminile, in Italia e non solo, è ancora più complesso dei meri dati di cronaca o delle sole indagini socio-statistiche. Investe l’antropologia culturale. Le culture delle donne. E il futuro stesso della nostra civiltà. Perché coinvolge, ad esempio, il tema della maternità: il «non pensato della nostra epoca», come lo definisce Silvia Vegetti Finzi. Un tema che ci interpella tutti. E richiede, perciò, un supplemento di riflessione. Anche e soprattutto da parte di media, organi (per quanto delegittimati dall’era della disintermediazione digitale, o in crisi) ancora preziosi per la formazione e l’informazione dell’opinione pubblica.

Anche qui, le cifre parlano chiaro: in Italia nascono sempre meno bambini, ci informa l’Istat. Non basta prenderne atto. Occorre chiedersi perché. Cercare, proporre e condividere soluzioni: come fece, a suo tempo, una straordinaria “femminista” cristiana norvegese, Janne Haaland Matlary, pubblicando un libro da noi purtroppo passato sotto silenzio: «Il tempo della fioritura. Per un nuovo femminismo» (tradotto in italiano per Leonardo, 1999). Una testimonianza di (ri)conciliazione (e non solo tra tempi di vita e di lavoro) che vale la pena di rilanciare, oggi. Con il coraggio necessario a una “minoranza eticamente determinata” che voglia dialogare seriamente con le sfide del presente: oltre l’autoreferenzialità, oltre gli steccati (e i pregiudizi) ideologici. Come sta facendo il cardinale Gianfranco Ravasi, che in seno al Pontificio Consiglio per la Cultura ha promosso una Consulta femminile che riunisce scienziate, teologhe, intellettuali, imprenditrici, sportive credenti (di varie confessioni religiose) e non credenti, laiche e religiose.

Un organismo permanente, appena presentato ufficialmente, nel quale sperare molto per veicolare a 360 gradi lo “sguardo delle donne”. Dentro e fuori del dicastero ecclesiale. Per lavorare davvero «in dialogo con le diversità, le religioni e i tanti mondi in cui le donne operano, convinte che la pluralità è il presupposto dell’azione umana».

Ultima modifica: Mar 7 Mar 2023