Il Primo Maggio dei giornalisti: più precario e più povero

In meno di dieci anni, secondo i dati dell’Osservatorio dell’Agcom, il numero dei giornalisti attivi in Italia si è ridotto di oltre il 10%. Inoltre, quelli che lavorano sono sempre più avanti con l’età: un giornalista su otto oggi ha più di 60 anni, ce n’era appena uno su 40 nel 2000. Quattro su dieci sono freelance, nell’80% dei casi il loro reddito non supera i 20mila euro annui. Insomma, anche nella nostra professione si è indebolita (e di molto) la cosiddetta “classe media”, e per tanti di noi il ‘privilegio’ è quello di avere semplicemente uno stipendio al mese.

Bastano questi numeri per descrivere il giornalismo di oggi: più precario, più povero, e per molti ormai più vicino inevitabilmente all’uscita dal mercato del lavoro. Il paradosso per il quale ad una maggiore disponibilità di notizie corrisponde un minor impiego di giornalisti, si spiega così. E forse anche noi qualche errore di valutazione in passato lo abbiamo fatto.

Oggi però abbiamo capito che, se il giornalismo è davvero un “baluardo della democrazia”, è irrinunciabile un sostegno pubblico all’informazione professionale. Abbiamo anche imparato sulla nostra pelle che le nuove tecnologie finora hanno ristretto il perimetro dell’occupazione. La velocità della Rete e dei social ha spesso svilito anche alcuni dei principi deontologici basilari del nostro lavoro (la verifica, con i suoi tempi, ad esempio).

Diceva il compianto Piero Angela, ricevendo il premio Carlo Azeglio Ciampi, che "la libertà del giornalista dipende dalla sua indipendenza”. Aveva ragione, certamente. Questo è uno dei fondamenti della nostra professione. L’indipendenza deve essere innanzitutto di pensiero. Significa autonomia e ‘schiena diritta’, tanto per dirla con le parole dello stesso presidente Ciampi. Tanti colleghi coraggiosi pagano l’integrità e la coerenza addirittura con la loro vita!

Ma l’indipendenza senza dubbio dovrebbe essere anche economica. E molti giornalisti, loro malgrado, non ce l’hanno. I dati dimostrano anche che quattro giornalisti su dieci non superano i cinquemila euro all’anno. Che tipo di indipendenza è possibile con 400 euro al mese?

La pratica quotidiana rivela che le regole deontologiche, ineccepibili, da sole tuttavia non bastano. E’ una questione etica, si dirà. Ed è irrinunciabile, ci mancherebbe, che ci sia una solida ‘etica del giornalista’. Ma è etico, ricordiamocelo tutti, anche avere la dignità di un salario giusto. Quando esso manca, si corrono i rischi di essere condizionati e a nostra volta di condizionare gli altri.

Questa fotografia della situazione del giornalismo italiano emergeva molto bene anche in un ottimo dossier realizzato qualche tempo da dall’Ucsi Sardegna. “Precarietà e incertezza sono le parole che accompagnano sempre più frequentemente il lavoro giornalistico”, è una delle conclusioni a cui arrivava quel rapporto

L’indipendenza economica dovrebbe essere anche quella della testata giornalistica per cui si lavora, che altrimenti è indotta a reperire risorse sul ‘mercato delle notizie’, che è sempre più ampio e meno controllabile. E che spesso è oscuro, sfrutta e paga l’abilità del comunicatore per veicolare contenuti impropri, persuasivi, manipolati.

Qualche tempo fa su questo sito denunciavamao un altro grave pericolo: quello di perdere un’intera generazione di bravi giornalisti che magari, di fronte alla difficoltà anche solo di arrivare in fondo al mese, rinunciano a questa professione.
Sono quei giovani che, trovandosi la strada sbarrata, scelgono di fare altro nella vita. Eppure avrebbero svuto avuto i numeri, le qualità, il coraggio e la passione per essere degli ottimi giornalisti. Li abbiamo persi, i rimpianti adesso dobbiamo averceli tutti noi. E dobbiamo soprattutto impegnarci, con i nostri mezzi, le nostre possibilità, la nostra associazione e tutti gli organismi di categoria, perchè questo non avvenga più in futuro.

Ultima modifica: Lun 1 Mag 2023