VIDEOGIOCHI: il confine sottile tra realtà e fantasia

Sì, lo ammetto. Anche io mi lascio prendere dai videogiochi. Non li vado a cercare. Ma, sul tablet, quando mi capita davanti agli occhi la cartella con i giochi, mi ci butto dentro e cerco di rilassarmi. Ma dura poco il relax, perché capita spesso che l’avvio di diversi giochi venga preceduto da pubblicità di altri giochi che riproducono situazioni raccapriccianti ed agghiaccianti: razzie e distruzioni di villaggi, uccisioni di massa, combattimenti, assalti, attacchi con carri armati, incitamento alla guerra e annientamento di popoli.

Li chiamano videogiochi. Ma come si fa a far passare per giochi situazioni che rimandano a realtà di morte e di crimini contro l’umanità? Non sono forse le stesse situazioni che stanno subendo tanti popoli nel mondo e che ci indignano quando ne veniamo a conoscenza? I bambini che usufruiscono di tali giochi, violenti a dir poco, non penso che conoscano il confine tra la simulazione e la cruda realtà di guerre che ancora attraversano il nostro tempo. Ma chi li progetta, sì.

E chi li progetta, a quanto pare, non si ricorda che quei giochi potrebbero cadere nelle mani di bambini come i loro figli. Se lo dimentica, allora si ricordi che il killer che nel luglio scorso ha compiuto una strage a Monaco di Baviera, in Germania, non era un terrorista. Era deviato, sicuramente, ed era “appassionato di videogiochi violenti”, come ha confermato il Procuratore della città tedesca. Stessa cosiddetta “passione” che aveva un altro giovane al quale si era ispirato, anche lui autore di una strage, nel marzo 2009 a Winnenden, sempre in Germania. Continuiamo pure a chiamare “videogiochi” quelle subdole istigazioni al crimine e alla guerra che rischiano di scatenare raptus criminali nei nostri figli. Continuiamo pure. Tanto sono solo “videogiochi”… 

Ultima modifica: Mar 13 Dic 2016