Le "bufale" di oggi e l'insegnamento (molto attuale) di Carlo Maria Martini

«Una società divisa, rissosa e in preda al risentimento, smarrisce il senso di comune appartenenza, distrugge i legami, minaccia la sua stessa sopravvivenza. Tutti, particolarmente chi ha più responsabilità, devono opporsi a questa deriva. Il web, ad esempio, è uno strumento che consente di dare a tutti la possibilità di una libera espressione e di ampliare le proprie conoscenze. Internet è stata, e continua a essere, una grande rivoluzione democratica, che va preservata e difesa da chi vorrebbe trasformarla in un ring permanente, dove verità e falsificazione finiscono per confondersi».
Il discorso di fine anno del presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha toccato, tra i tanti argomenti, anche quello del web, e della necessità crescente di arginare (senza porre nessun bavaglio) la massa di pseudo notizie (o post-verità, come qualcuno le chiama) che stanno invadendo la rete...

C’è chi si è stracciato le vesti. Primo fra tutti Beppe Grillo: «Tutti contro Internet. Prima Renzi, Gentiloni, Napolitano e Pitruzzella, poi il ministro della Giustizia Orlando, e infine il presidente Mattarella nel suo discorso di fine anno. Tutti puntano il dito sulle balle che girano sul web, sull'esigenza di ristabilire la verità tramite il nuovo tribunale dell'inquisizione proposto dal presidente dell’Antitrust. Così il governo decide cosa è vero e cosa è falso su internet. E alle balle propinate ogni giorno da tv e giornali chi ci pensa?». Una presa di posizione che ha scatenato le reazioni e le proteste in vari ambiti del mondo dei media (prima fra tutte quella del Tg di La7 di Enrico Mentana).

Che esista un problema di controllo delle fonti e di fondatezza della notizia su carta stampata e televisione, è fuori di dubbio. Ma che per questa ragione si debba trascurare la massa di bufale che ogni giorno passa sul web, appare un ragionamento per lo meno bislacco.
Il 2 dicembre 2016, Stefano Cecchi, in un pezzo da Il fascino del falso nell'era "post verità", apparso su Quotidiano net riferiva l'opinione di Vivian Schiller, già responsabile delle news di Twitter: «La bufala più grossa ha riguardato Donald Trump. Si sosteneva che costui in campagna elettorale avesse avuto l'endorsement di Papa Francesco. Una notizia così falsa al punto che il giornale che l'avrebbe diffusa per primo, il Denver Guardian, neppure esiste. Eppure per giorni è stata la notizia più letta su Facebook. Anche il fatto che Hillary aveva venduto armi all’Isis era una patacca. Eppure è stata la terza notizia più letta sui social Usa in quei giorni».

Un argine alle “fake news” andrà certamente trovato. Ma, in attesa che qualche norma venga elaborata nel rispetto della libertà d’espressione, il primo argine è di carattere deontologico ed etico. Va messa in luce la necessità che le piattaforme si dotino di strumenti per contrastare il fenomeno, ma sicuramente giornalisti e comunicatori (a maggior ragione in questa categoria vanno inclusi anche blogger e "spin doctor") devono fare la loro parte. Un’informazione onesta (basterebbe questo, prima ancora di una imparzialità assoluta difficile da realizzare) può aiutare a trovare un equilibrio e a rasserenare gli animi.
Sembrano profetiche le parole del cardinal Carlo Maria Martini, che 25 anni fa, nella sua lettera pastorale Il lembo del mantello (1991) si rivolgeva così ai comunicatori: «Perché non usi il tuo potere di contraddittorio? Perché hai timore di esercitare la tua libertà e la tua discrezionalità di professionista in grado di discernere le parole che hanno sostanza da quelle che suonano vuota apparenza? Chi può farlo se non tu? Lo sai che in democrazia la tua funzione è importantissima; se la svolgi adeguatamente aiuti la vita democratica a crescere; diversamente tu perdi un'occasione professionale, ma la perdiamo insieme tutti noi, e contribuisci al progressivo restringimento degli spazi collettivi di libertà». (n.18)
E ancora: «La gente si aspetta dall'operatore dell'informazione che svolga un lavoro di mediazione, di mediazione professionale. Mediare non significa svolgere un'attività asettica. È impossibile porsi esattamente nel mezzo, tra fonte dell'informazione e destinatario. Mediatore è colui che porta le ragioni dell'uno e dell'altro, e viceversa. È colui che si fa carico dell'uno e dell'altro, che sa accogliere il senso del loro dire. Soprattutto, mediatore è colui che traduce; ciò vuol dire che non può essere un passacarte, né un megafono, né uno che letteralmente trasporta ogni parola da un codice all'altro. Mediatore è colui che si assume i rischi di ogni traduzione; tradurre, concretamente, significa andare all'essenziale, cercare il senso di una vicenda in sé e nel contesto, e riferire con parole vive».

Il giornalismo vive anche di contraddizioni, di condizionamenti legati all’economia, a legami finanziari e politici, purtroppo. «Eppure – scriveva ancora il cardinal Martini - io resto convinto che la vera sfida a ciascuno di noi è proprio questa: individuare spazi di libertà, di discrezionalità, di creatività dentro i ruoli che ci hanno assegnato, nello svolgimento dei compiti che ci sono stati affidati. A volte può essere più facile, in altri casi è complicato. In certi momenti scrivere ha rappresentato grossi sacrifici per la stessa libertà personale. Può capitare che i nemici delle nostre potenzialità espressive non siano il "sistema", le "controparti", i "superiori" e i mezzi di cui questi spesso dispongono (duri o persuasivi o subdoli), ma che i nemici più forti e duri da battere siano dentro di noi. E si chiamano autocensura, conformismo, desiderio di quieto vivere e di non avere grane» (n. 19-20).
Sono parole scritte in un’epoca che dal punto di vista della comunicazione sembra distante anni luce: stampa e giornali la facevano ancora da padroni, la rete era per pochissimi, la posta elettronica si affacciava appena, gli smartphone e i social erano di là da venire.
Eppure il messaggio etico che il cardinale gesuita volle allora lanciare da Milano resta intatto in tutta la sua importanza. Per un comunicatore, sia che operi sul web o altrove «la differenza sta nel rispetto degli altri, nel rispetto delle leggi legate all'uso degli specifici linguaggi comunicativi». Di fronte ai rischi che una cattiva comunicazione può determinare, ieri come oggi, «non sta scritto che si debba essere degli eroi, ma uomini sì: a questo siamo chiamati».

foto: Ucsi Lombardia e Fondazione Carlo Maria Martini

Ultima modifica: Ven 6 Gen 2017