Cosa dice a noi giornalisti la vicenda dell'hotel Rigopiano

La vicenda dell'hotel Rigopiano, sul Gran Sasso, dice molte cose dei nostri tempi e delle modalità dell'informazione. Provo a elencarne alcune...

L'addestramento e la preparazione dei soccorritori, eccezionali, avvengono nei tempi di calma per poter dare risultati come quelli che abbiamo visto all'hotel Rigopiano sommerso dalla valanga o nelle zone terremotate del centro Italia. Le catastrofi sono spesso improvvise, la forza per affrontarle non si improvvisa.
Per intervenire in condizioni estreme ci vuole "il fisico", ci vogliono le motivazioni, ci vuole la resistenza, ma ci vogliono anche la serietà e la costanza di una preparazione meticolosa e la capacità di lavorare in squadra. Da soli non si arriverebbe a nessun risultato.

La speranza di trovare persone in vita nonostante il quadro disastroso che al Rigopiano i soccorritori si sono trovati davanti (in assenza peraltro di segni di vita provenienti dall'interno dell'hotel) è stata una grande lezione di vita. Si cerca la vita anche quando le apparenze sono tutte "contro".

La documentazione visiva di quanto avviene è parte essenziale del racconto, ed è anche quanto il pubblico cerca sia per l'effetto realtà-verità sia per la forza che hanno le immagini, superiore a quella delle parole. Tutti hanno voluto vedere video e foto del salvataggio della mamma e del bambino tirati fuori dall'hotel, così come avevano fatto il giro del mondo le immagini della piccola Giulia, 11 anni, estratta dalle macerie di Amatrice molte ore dopo il crollo che l'aveva sepolta. Sono utili le immagini che aiutano a sperare.

Oggi ci sono strumenti di comunicazione alla portata di tutti. Averne consapevolezza può essere vitale.  Al primo superstite dell'hotel, l'uomo che ha lanciato l'allarme, è stato decisivo il telefonino dotato di WhatsApp. È più che comprensibile che non gli sia venuto in mente di scattare e inviare una foto, mentre aveva moglie e figli sotto una valanga, ma se quell'uomo l'avesse fatto, se avesse scattato e inviato una foto di quanto vedeva, probabilmente la macchina dei soccorsi si sarebbe mossa prima.  L'amico che ne ha raccolto l'sos, se avesse ricevuto anche una foto da trasmettere a sua volta, non avrebbe dovuto sgolarsi con increduli operatori al telefono che sulle prime sembravano minimizzare quanto ascoltavano. È dura ma è così. Chi con le immagini lavora, come i fotografi e i giornalisti televisivi, ne conosce il potenziale comunicativo, sa che che ci sono cose che si possono anche non dire perché bastano le immagini. Questa semplice regola, oggi che produrre e trasmettere immagini è a portata di tutti, dovrebbe entrare a far parte della consapevolezza comune.

Educare a un uso sobrio e consapevole degli strumenti comunicativi dovrebbe far parte dei programmi di scuola.

Infine una riflessione sulla presenza dei giornalisti dentro le notizie, e sulla qualità dell'informazione che riescono a esprimere e veicolare. Questa è importante sempre, ma ha delle peculiarità quando si tratta di notizie "catastrofiche", in cui si fa più evidente la relazione tra professionalità e qualità umana, si cerca un equilibrio possibile tra il distacco e il coinvolgimento, un po' come è per i medici del pronto soccorso, lì in prima linea: coinvolti ma distaccati, una dote dell'umano che si impara sul campo, ed è molto soggettiva.

La presenza dei giornalisti è importante per aiutare a capire cosa accade e perché accade, per ricostruire e denunciare eventuali responsabilità o inadempienze, ma anche per incoraggiare ed evidenziare quello che funziona, spesso frutto della professionalità e della dedizione di tanti, insieme all'esperienza maturata in determinate situazioni.

Il racconto dei giornalisti serve spesso anche per aiutare la collettività a metabolizzare quanto accade, a darvi un senso e una direzione, soprattutto nelle vicende dolorose, in cui ci sono dei sommersi e dei salvati, famiglie divise, dei "perché" senza risposta, emozioni e sentimenti oltre ai pensieri, traumi difficili da superare.

I giornalisti sono importanti, con i loro occhi e la loro voce, con il loro racconto in diretta, con la capacità di ascoltare e creare relazioni, con la selezione delle immagini da mostrare e di quelle da non mostrare, con la scelta di essere presenti o di farsi un po' in disparte, magari per non essere di intralcio alle operazioni di soccorso, o per rispetto e discrezione nei confronti di chi soffre. Un grazie ai giornalisti che lavorano in condizioni difficili senza risparmiarsi, inviati sul campo e redazioni. Perché anche quello dei giornalisti è un lavoro di squadra.

foto: Vigili del Fuoco

 

Ultima modifica: Sab 21 Gen 2017