I media e il nuovo volto della violenza

La violenza (esplicita, fisica, ma anche verbale, occulta: psicologica e morale) si insinua e si espande per contagio. Come un virus. Provoca assuefazione. Arriva ad essere metabolizzata. Più subdola di una malattia letale, ha un crescendo di effetti nefasti particolarmente evidenti nei comportamenti di bambini e ragazzi: più vulnerabili, se sovraesposti a modelli di rozza aggressività veicolata da (e con) qualunque mezzo, non certo soltanto televisivo: videogiochi, film, manifesti e spot pubblicitari e persino (certa) musica...

Napoli, laboratorio antropologico “glocale”, ne è un paradigma. Doloroso. Paranze di bambini (non a caso oggetto anche dell’ultimo romanzo di Saviano), baby pusher, gang di teppisti e vandali in erba che seminano il panico, “stese” che coinvolgono, nelle loro sparatorie, anche minorenni.

Ma, di contro, anche episodi di allarmante autolesionismo in quelle fasce sociali medio-alte dove pure è diffuso un forte disagio di civiltà. Sono punte di un iceberg, ma i media ci sguazzano, soprattutto nelle cronache di una minicriminalità che ha sempre più il volto (invisibile) dell’infanzia. A latitare sono analisi approfondite, necessarie quanto le buone pratiche per invertire questa tendenza (non soltanto partenopea), contrastando finalmente in modo serio la povertà educativa: madre di tutte le violenze.

Opportuna la riflessione di Marino Niola nella sua rubrica sul Venerdì di Repubblica del 27 gennaio scorso (“I baby pusher cuore di tenebra del consumismo”). Ma forse una seria vigilanza, riattivando l’affossato Comitato tv e minori e mettendo in rete gli esistenti Osservatori su violenza media e minori, può essere una prima strada da percorrere. E una mission per l’UCSI.

Ultima modifica: Ven 7 Apr 2017

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