Dj Fabo: una questione laica. Molto, ma molto laica.

C’è un aspetto, nella tragica vicenda di Fabiano Antoniani e della sua fidanzata Valeria, che colpisce in questi giorni e, intuibilmente, dei prossimi: il clamore mediatico. Un clamore che la banalità dei social moltiplica e rafforza con una linea assai chiara: utilizzare un caso umano, la sofferenza di una persona ancora giovane e ricca di vitalità prima di un incidente stradale, per fare da sponda a una richiesta generale - e dunque politica – in favore di una legge che consenta presto, anche in Italia, quello che è possibile in Svizzera e in qualche altro Paese “avanzato” dove “modernità” fa rima con superamento delle fisime, per definizione bigotte, del mondo cattolico o di qualche altro nostalgico rispetto a pensieri vecchi, da rottamare sull’altare dei “diritti”...

Non ho dubbi che a questo, presto, si arriverà. Troppo forte, sostenuta, potente, unidirezionale, “politicamente corretta” la richiesta affinché ciascuno della sua vita possa fare, anche nella parte finale, “ciò che vuole”: e, dunque, “scegliere” anche di farla finita attraverso un suicidio all’apparenza capace di risolvere i problemi di tutti, compresi, magari, anche quelli di una galoppante e insostenibile spesa sanitaria. Di anno in anno, con velocità sempre maggiore, questo tipo di impostazione si fa spazio riducendo fino ad eliminare obiezioni fino a poco tempo fa “normali”.

Premetto che non mi arrogo certo il diritto di “giudicare”, dalla tranquillità della mia tastiera, scelte e comportamenti come quella di Fabiano Antoniani. Ma, diciamo sommessamente e diciamo laicamente, ho molti dubbi, anzi in verità sono proprio contrario, rispetto alla bontà di questa “soluzione” finale. Soluzione che, al di là del singolo caso umano, mi spaventa per prospettive facilmente intuibili.

Però vivo nel clima culturale in cui mi è dato vivere, ascolto i ragionamenti di tante persone, leggo ciò che viene scritto anche da chi non te lo aspetteresti su questo tipo di posizione: davanti al dolore, davanti a “una vita che non è più vita”, davanti a una sofferenza estrema, molto meglio “una pillola”, meglio una “pasticchina” rispetto all’ostinazione del vivere in quel modo. Che vita è quella che ti imprigiona in un corpo “inutile”?

Tutto politicamente assai “corretto”; tutto coerente con un tipo di impostazione, individualistica e liberista, che io posso anche contestare e rifiutare ma che ormai, nell’immaginario collettivo, sta diventando vincente contro impostazioni altre e un tempo aggregabili con la categoria del “solidarismo”. Le obiezioni? Roba “da preti”, ragionamenti “ipocriti” che non tengono conto della “libertà assoluta” cui ciascun “individuo” ha totale “diritto”.

Si dà, nei grandi media, nelle migliori delle ipotesi, anche un po’ di spazio a qualche vescovo, o esperto, che tenta, perfino con parole adeguate, di far riflettere, controcorrente, su dove possa portarci la china imboccata: ma la china, appunto, è imboccata e la campagna mediatica – sostenuta con infiniti post sui social – è concorde e potente; prende il caso “umano”, utilizza la indubbia emozione che la vicenda suscita, per arrivare subito alla dimensione “politica” in base a un ragionamento, politicamente sostenuto con grande trasparenza dai professionisti delle battaglie “civili”, che sostiene la “libertà” contro ogni forma di “oscurantismo”.

Eppure quanto bisogno ci sarebbe, su temi così delicati e complicati, di non farsi prendere dalle “chine” già imboccate. Quanto bisogno, una volta interpretato in modo corretto e completo il dovere di informare, quanto bisogno ci sarebbe di lasciar parlare soprattutto silenzio e commozione, con-passione e ricerca di altre chiavi interpretativi.

Posizione, questa, “da preti”, roba da “bigotti”, scontato “clericalume”? Se è ancora consentito andare contro-corrente, e sempre con il massimo rispetto per ogni tipo di dolore, mi pare di porre, e non credo di sbagliare troppo, per l’immediato e in prospettiva, una questione laica. Molto ma molto laica.

Ultima modifica: Mar 28 Feb 2017