6 / Raccontare il lavoro e la crisi in Sardegna: corriamo il rischio di 'farci l'abitudine'. E intanto anche le nostre redazioni sono sempre più vuote.

RACCONTARE IL LAVORO - TESTIMONI/6: Giuseppe Meloni, capo redattore L'Unione Sarda

È ancora notizia da prima pagina la disoccupazione, la disperazione di chi è stato espulso dal ciclo produttivo, l'angoscia di chi cerca lavoro, a costo di un doloroso “viaggio della speranza”?

Oppure i giornali raccontano la crisi solo perché fa più 'cassetta' rispetto alle storie di eccellenza di aziende che crescono e producono posti di lavoro? Peggio ancora. C'è una sorta di assuefazione giornalistica al tema del lavoro, sempre più spesso confinato nelle pagine interne, magari di taglio basso?

Secondo gli ultimi dati Istat in Sardegna tra ottobre 2016 e marzo 2017 gli occupati sono diminuiti di oltre 50.000 unità e la disoccupazione è oltre il 20%. Contemporaneamente, secondo l’Inps, nel primo quadrimestre del 2017 le assunzioni hanno un saldo positivo del 30%. Dati che, ormai, sono "pane quotidiano" per le sezioni dell’economia o, al limite, conquistano un articolo di spalla nelle pagine interne.

«Negli ultimi anni sul nostro quotidiano – spiega Giuseppe Meloni, capo-redattore per l’economia e la politica dell’Unione Sarda, principale gruppo editoriale della Sardegna – abbiamo raccontato la crisi del lavoro soprattutto attraverso le grandi vertenze Alcoa ed Euroallumina, sfociate spesso in manifestazioni con eco mediatico nazionale. Le proteste con i caschetti degli operai sbattuti in terra davanti Palazzo Chigi o la sede del Consiglio Regionale a Cagliari hanno fatto epoca e occupavano le prime due pagine dell’Unione, ma con il tempo tali proteste sono diventate dei riti celebrati stancamente il cui racconto è scivolato poi nelle pagine interne del giornale. Ora, quando in redazione arrivano altre notizie, la protesta non colpisce più e la vertenza resta importante, la protesta pure ma il lettore ha bisogno di notizie nuove. Questo può essere il paradigma delle vertenze lavoro».

La crisi, ormai decennale, non fa più notizia?
«Un elemento della nostra linea editoriale – continua Meloni – è raccontare tutte le vertenze ma, con la stessa energia, anche le storie positive delle nuove start-up dei distretti che funzionano; è la stessa tendenza anche di altri giornali. Il racconto della crisi ha un po’ stancato e si inizia a sentire la necessità di chiedersi se siamo davvero un paese dove non funziona niente; magari si scopre che qualcosa funziona.
Il primo a teorizzare questa veduta è stato Mario Calabresi quando dirigeva La Stampa e ora a Repubblica: non vuol dire non raccontare quello che va male ma, per esempio, che oltre al caso di malasanità esiste anche quello di eccellenza. Non per far credere alla gente che la crisi non c’è più, ma perché bisogna tentare di raccontare anche quel che funziona».

Raccontare del mondo del lavoro necessita un approfondimento molto professionale, saper leggere ed interpretare i dati provenienti dai sindacati e dalle associazioni di categoria o dall’Istat dando un indirizzo obiettivo al lettore. Per esempio, sono chiari gli effetti del jobs act?
«Un’idea chiara ancora non riesco ad averla – spiega il giornalista dell’Unione Sarda – capita che nella stessa giornata si ricevono i dati Istat che indicano la crescita degli occupati e, dall'altra, il sindacato rimarca che sono aumentati i licenziamenti. A questo bisogna aggiungere che è cambiato il modo di produzione dei giornali: fino alla fine degli anni ’90 le redazione erano numerose e producevano giornali corposi, adesso è diminuito il numero delle pagine e non sono stati sostituti i colleghi andati in pensione; così ci si ritrova a dover fare molte cose con meno tempo per approfondire. All’Unione stiamo provando a dare voce a più persone ‘specializzate’ che ci aiutano a dare chiave di lettura su temi specifici.

A proposito della ormai cronica mancanza di lavoro in che modo ordineresti, in ordine di importanza, questi elementi: dispersione scolastica, mancanza di Politica, abitudine all’assistenzialismo, sfiducia nel trovare lavoro ed incapacità ad adattarsi a nuovi lavori?
«In Sardegna al primo posto c’è l’assenza di politiche lungimiranti e non solo per il lavoro in senso stretto; inizia ad esserci qualche tentativo di rendere utile il centro per l’impiego diventato luogo di domanda e offerta, ma manca strategia di sviluppo di questo paese che sta perdendo tutti i centri di sviluppo che ci hanno sempre caratterizzato: in Italia negli ultimi decenni abbiamo perso diversi asset produttivi del manifatturiero. Poi certamente c’è la scarsa flessibilità ad adattarsi al mondo che cambia».

Nelle linee di preparazione per la 48° settimana sociale dei cattolici italiani, ci si propone di non celebrare un convegno come tanti, ma di dare un contributo all’intera società italiana per uscire dalla crisi. In che modo a tuo parere può non terminare tutto nei giorni successivi?
«La riflessione sul lavoro che la chiesa promuove dai tempi di Leone XIII è utilissima perché ci aiuta a ricordare che il lavoro è per l’uomo e non l’uomo è per il lavoro. I valori della solidarietà e della dignità della persona umana devono essere centrali. Ognuno di noi deve considerare il lavoro solo un elemento per arrivare a fine mese? Di identità? Un tempo era una liberazione poi per certi versi è diventata schiavitù; bisogna dare al lavoro la giusta dimensione perché se lo mettiamo troppo al centro della nostra vita, (pensiamo per esempio allo sfrenato carrierismo di alcuni), diventa anche fonte di preoccupazione».

Ultima modifica: Lun 29 Gen 2018