16 - S come 'Social Network'. Per il loro buon uso vale sempre il consiglio della nonna.

Danah Boyd e Nicole Ellison, due ricercatrici statunitensi, nel 2007 “profilarono” i social network sulla base di tre elementi fondamentali: la presenza di uno “spazio virtuale”, cioè di un forum in cui l’utente può costruire un proprio profilo, renderlo pubblico e accessibile, almeno in forma parziale agli altri utenti della Rete. Altra caratteristica di un social network è la possibilità di dare vita a una lista di altri utenti con cui entrare in contatto e interagire. Infine, la terza e ultima “dote” è la possibilità di analizzare i messaggi trasmessi e le connessioni con gli altri utenti.

Lo studio delle due ricercatrici Usa condotto più di 10 anni fa rende l’idea della prima fase di approccio che sociologi, esperti di new media e di comunicazione, hanno avuto con il fenomeno delle “reti sociali”.

In tanti hanno tentato di dare una definizione, di descrivere e raccontare il modo dei social network per delinearne le fattezze e studiare i tratti di un mondo che è parte integrante del mondo reale vissuto da milioni di cittadini connessi a Internet. Al riguardo molto interessante è la definizione data da Giuseppe Riva, professore di psicologia e nuove tecnologie della comunicazione all’Università cattolica di Milano, nel suo libro I social network (Il Mulino, 2016). Per estensione, scrive Riva, “possiamo definire un social network come una piattaforma basata sui nuovi media che consente all’utente di gestire sia la propria rete sociale (organizzazione, estensione, esplorazione e confronto), sia la propria identità sociale (descrizione e definizione)”. Una definizione, questa, tutta da approfondire, come peraltro ben fa il professore Riva nel suo libro, dalla quale trarre spunto per ulteriori riflessioni.

Oggi i social network come Facebook, Twitter, Instagram e così via fanno parte della vita reale di quanti hanno aperto un account. Sono così pervasivi e coinvolgenti da costringere istituzioni e governi a limitarne l’uso, come nel caso degli automobilisti, per la stessa incolumità della persona umana, complice il sempre e maggiore uso di strumenti mobile come smartphone e tablet che aiutano l’utente a restare sempre e comunque connesso senza soluzione di discontinuità. Questo, così come per tutti gli eccessi, può provocare nuove forme di dipendenza da e-mail, video, social network e da videogiochi, che colpisce non sono i “nativi digitali” ma anche i “migranti digitali”, cioè gli adulti.

Sul tema ‘social network’ c’è un’ampia letteratura e il dibattito è sempre in corso tenuto vivo da filosofi, esperti di social media, guru, entusiasti sfegatati, critici apocalittici, psicologi, sociologi e studiosi. Tutti danno il loro contributo alla riflessione sui nuovi media e sull’incidenza delle nuove tecnologie sugli uomini e le donne del nostro tempo. E’ un dibattito da seguire e su cui tenersi sempre informati perché riguarda noi e il comportamento dei nostri figli.

Al riguardo molto interessante è un film uscito nella primavera del 2017 dal titolo The Circle con Emma Watson e Tom Hanks. Si tratta della pellicola tratta dal romanzo Il cerchio di Dave Eggers del 2013 e racconta delle derive in cui si può incorrere nell’era del web 3.0: isolamento, mancanza di confine tra pubblico e privato, desiderio di essere sempre connessi, distaccamento dalla realtà che ci circonda. Tutte situazioni che altri libri e altri film dall’inizio del Duemila ad oggi hanno descritto, ma che potrebbero essere riassunti nel libro Il signore delle mosche di William Golden in cui un gruppo di ragazzi inglesi dopo un incidente aereo sopravvivono su un'isola deserta. Un luogo che si trasforma in una terribile tribù di selvaggi che ben presto iniziano a scontrarsi l’uno contro l’altro senza nessun rispetto per ciascuno. E’ l’esempio della degenerazione e della mancanza di riferimenti. Golden racconta il contrasto fra il bene e il male sottolineando cosa può succedere quando gli istinti prendono piede sull'intelligenza non educata di un gruppo di ragazzi.

Vale anche, seppur anacronistico, il consiglio della nonna il primo giorno in cui si imparava ad andare in bicicletta: attenti a non correre, ad usarla troppo, a frenare prima del pericolo e a non prendere buche per non cadere. Un modo semplice e immediato per non proibire l’uso di uno strumento richiamando allo stesso tempo al buonsenso e alla responsabilità.

Ultima modifica: Dom 10 Dic 2017

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