Il nuovo 'immaginario collettivo' e l'identità di noi giornalisti

Il quattordicesimo rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione, frutto e prosecuzione di quella che all’inizio degli anni Duemila fu una lungimirante intuizione del nostro Emilio Rossi e di Giuseppe De Rita, descrive uno scenario che negli ultimi anni si è profondamente modificato, tanto da indurre gli autori della ricerca a ritenere che queste trasformazioni abbiano ormai generato un nuovo e inedito “immaginario collettivo” (con i valori che si ribaltano e con un notevole solco tra generazioni).

Uno degli aspetti più evidenti, sottolineato pù volte durante la presentazione, è che “al centro del sistema della comunicazione oggi c’è lo smartphone (con tutto quello che esso contiene)”. Non era così fino a pochi anni fa, e non era neppure immaginabile quando cominciò la serie dei rapporti.

E tuttavia, nella molteplicità di dati a disposizione che si possono leggere puntualmente sul nostro sito, ci sono anche alcune conferme rispetto al passato che sono altrettanto significative.

La prima è che la televisione resta il mezzo più pervasivo di tutti, anche nella sua forma tradizionale (che adesso è quella del “digitale terrestre”). Certo, si afferma la tv on demand, decolla la mobile tv, ma la sostanza non cambia del tutto (e questo ha spinto i rappresentanti di Rai, Mediaset e Tv 2000 a mostrare un certo ottimismo per il futuro).
Anche il telegiornale (che molti davano per superato) rimane la fonte principale di informazione. Qui l’indebolimento è evidente (dall’80% al 60% in cinque-sei anni) ma quel format resta centrale per capire il mondo (o la nazione, la regione, la città) che ci circondano.
La terza conferma dei precedenti rapporti (ed è molto negativa) è che la crisi dei giornali non si arresta, e non è neppure compensata, se non in piccola parte, dalla migrazione al digitale.
Neppure la disintermediazione è un fenomeno nuovo, era la considerazione più rilevante del rapporto 2016; ma oggi sta determinando ancora di più una polverizzazione dei contenuti e dei “contenitori”. Perché non basta dire che dai social network passa gran parte dell’informazione, bisogna chiedersi in quali social, per quali utenti, con quali notizie.

Il contesto entro cui ci muoviamo noi giornalisti è questo: esso è estremamente complesso, e appare uno scenario di crisi più che di opportunità, che stimola interrogativi e non offre risposte semplici.
Ha fatto bene dunque la nostra presidente Vania De Luca a denunciare pubblicamente anche il rischio della perdita di identità di chi svolge la nostra professione.

Insomma: a chi ci rivolgiamo? Con quali mezzi? Con quale autorevolezza? E chi rende sostenibile economicamente il nostro lavoro, spesso saccheggiato dai divulgatori seriali? Ancora: quali fondamenti etici costituiscono l’argine da opporre alla degenerazione di certo giornalismo, alle notizie false e tendenziose, all’informazione gridata per fare audience e conquistare like, alle facili strumentalizzazioni per alimentare paure o consensi?

Sono questioni fondamentali di cui sapremo certamente farci carico, all’interno della nostra associazione. Che intanto ha contribuito a far nascere e a sviluppare negli anni questo “Rapporto sulla Comunicazione” (Censis-Ucsi, appunto), che ci dà gli strumenti oggettivi e analitici almeno per continuare a discuterne.

Ultima modifica: Gio 5 Ott 2017

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