Violenza di genere: come la raccontano i giornalisti e perché ora è necessaria una svolta dell'informazione.

Mentre si moltiplicano le denunce di molestie e di violenze sessuali e salgono le proteste - purtroppo più all'estero che in Italia, dove le donne più difficilmente ottengono solidarietà e giustizia, e quindi sono meno propense a denunciare - è giusto chiedersi quale sia il ruolo che l'informazione ha di fronte a questo problema.

Problema che nasce da quello più generale delle discriminazioni, che ancora le donne subiscono nella società e nel lavoro, ma anche del modo sessista di concepire i rapporti privati tra uomo e donna, troppo spesso ancora incentrati sulla figura del maschio dominatore.

Il problema è che bisognerebbe trovare un modo più corretto e completo per fare informazione sugli episodi di violenza e sui femminicidi. Il fatto che recentemente sia stato firmato - anche dall'UCSI - il Manifesto di Venezia, ci dice che il problema è sempre più avvertito, ma che il cambiamento è ancora di là da venire. Per esempio, bisognerebbe smetterla di raccontare la violenza sulle donne come un problema individuale, o magari frutto del troppo amore.

Ci sono principalmente due modi di raccontare questi fatti: lo spiegano Elisa Giomi e Sveva Magaraggia nel loro recente saggio 'Relazioni brutali. Genere e violenza nella cultura mediale' (Il Mulino 2017). Il primo è di adottare un frame "episodico": quando una violenza o un femminicidio arriva alla cronaca, viene trattato come un evento a sé, di cui si vanno a cercare le cause individuali, le specificità legate alle singole persone protagoniste.

Il secondo è di adottare il un frame "tematico", nel quale "il fatto di cronaca è trattato come espressione di un fenomeno più ampio, fornendo dati su incidenza e diffusione, illustrando i fattori che vi contribuiscono, nonché indicando strumenti di sostegno a chi vive situazioni analoghe."

Nella nostra informazione prevale il primo frame: la violenza è descritta come un'aberrazione individuale e, soprattutto quando avviene all'interno della coppia o della ex coppia, una questione alla fin fine privata. I giornalisti vanno a cercare i particolari e le possibili cause, e si scopre che chi ha usato violenza aveva perso il lavoro, era depresso, o sotto l'effetto di alcool o droghe... comunque aveva perso per un po' la ragione.

Ma se il desiderio di approfondire le storie, di guardarle dall'interno per capire quello che succede è non solo legittimo, ma anche doveroso per il giornalista, questa rappresentazione della violenza risulta però quasi giustificativa. E soprattutto non aiuta a trovare una risposta alla domanda cruciale: ma perché violenza e femminicidi sono così diffusi? Risposta senza la quale non si può affrontare la domanda successiva: che cosa si può fare per prevenire tutto questo?

Quando i numeri sono così alti (si calcola che i femminicidi nel 2016 siano stati 150, 114 nei primi dieci mesi del 2017) è evidente che, sottostante, c'è un problema culturale, e che è su questo piano che il tema va affrontato. Dunque, che l'informazione dovrebbe adottare un frame tematico.

E a questo punto bisogna fare un'altra considerazione, amara purtroppo: questa narrazione prevalente non viene applicata quando chi fa violenza è straniero. In questo caso, la notizia viene immediatamente etnicizzata, e le motivazioni dell'episodio vengono cercate nella "cultura di origine".

Giomi e Magaraggi sottolineano altri due aspetti problematici del modo in cui la violenza sulle donne è rappresentata dal mondo dell'informazione.
Il primo, strettamente collegato a quanto detto fino ad ora, riguarda la tendenza ad inserire la violenza perpetrata da partner o ex partner dentro la cornice dell'amore "romantico": la passione è tale da accecare l'uomo e fargli perdere la ragione, se abbandonato o tradito o semplicemente impaurito dalla possibilità di esserlo. Secondo le studiose, "nella stampa italiana del 2012 questo frame identifica il 55% degli articoli esaminati". Inutile dire che, ancora una volta, questa interpretazione, se non giustifica, almeno rende più "comprensibile" la violenza.
Il secondo riguarda i femminicidi ed è legata al fatto che, anche se nel nostro Paese le donne uccise da persona sconosciuta sono molte meno delle vittime di partner o ex partner, negli spazi mediatici il rapporto si inverte, per esempio "I Tg di prime time Rai e Mediaset nel 2006 dedicavano alle donne uccise da persona sconosciuta il quadruplo dei servizi di quelli ottenuti dagli altri casi, nonostante il rapporto tra le vittime tra le due tipologie fosse 1:2." Di conseguenza, il messaggio per le donne è: attente non uscire di casa: gli "altri" sono pericolosi.

L'emersione così massiccia, in queste settimane, del problema delle molestie e delle violenze sulle donne è un fatto positivo, perché può sollecitare un cambiamento profondo. E questo potrebbe essere il momento giusto per incidere sulla consapevolezza individuale e collettiva e arrivare a un vero cambiamento di costume, e prima ancora di cultura diffusa. Ancora una volta, credo che l'informazione non possa tirarsi fuori.

Ultima modifica: Lun 22 Gen 2018