Raccontare le migrazioni. L'ultimo numero della nostra rivista Desk.

Il 'Desk della domenica' (estratto da "Desk" numero 4/2017, info e abbonamenti ucsi@ucsi.it). Pubblichiamo integralmente l'editoriale di Vania De Luca, presidente dell'Ucsi e direttore della rivista.

L'ultimo numero di Desk, dedicato al tema delle migrazioni, arriva dopo quello sul lavoro. Tra i due c'è una relazione, una sorta di continuità, sia perché entrambi sono nati in collaborazione con la Rai, alla quale anche in questo numero dedichiamo un nostro dossier, sia perché il criterio che abbiamo seguito nel pensare e articolare i rispettivi indici risponde a un analogo, duplice obiettivo: da un lato fornire un'analisi critica del modo con cui la stampa, la radio, la televisione e il web si occupano dei grandi processi sociali del nostro tempo, dall'altro offrire ai colleghi giornalisti delle griglie di interpretazione di fenomeni complessi nei quali tutti siamo, a diverso titolo, coinvolti, giornalisti compresi.

Storici del presente

Secondo una nota definizione di Umberto Eco, "il giornalista è uno storico del presente, ma non sempre i buoni libri di storia si scrivono in un giorno, spesse volte in un'ora, spesse volte in un minuto". Spesse volte, potremmo aggiungere, con lo scatto di un'istantanea, o con il racconto in diretta, in tempi che hanno spesso azzerato la distanza di spazio e di tempo tra i fatti e la loro rappresentazione mediatica. Basti pensare alla velocità di trasmissione delle immagini e delle notizie contemporaneamente in tutto il mondo, o all'impatto su una vasta opinione pubblica di una semplice fotografia, come quella del piccolo Aylan, il bambino curdo siriano di tre anni ritrovato nel settembre del 2015 sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia, morto in un naufragio insieme alla madre e al fratellino di cinque anni mentre l'intera famiglia cercava rifugio dalla guerra presso i parenti in Canada. La foto di Aylan riverso sulla spiaggia, con i vestitini e le scarpe nuove indossati per quello che sarebbe stato il suo ultimo viaggio, provocò una profonda impressione in tutto il mondo, e contemporaneamente divenne ineludibile elemento di riflessione del dibattito politico, e di quella catastrofe umanitaria rappresentata dal destino dei rifugiati.

"Penso di essere nata per quegli scatti ma adesso devo guardare avanti", dichiarò Nilüfer Demir, l'autrice della foto, alla giornalista del Corriere della Sera Giusi Fasano che la intervistò qualche giorno dopo il ritrovamento, e aggiunse: "Io credo che ciascuno venga al mondo con un motivo preciso, un compito. E credo che le fotografie del piccolo Aylan morto sulla spiaggia di Bodrum fossero il compito della mia vita".

Anche il gendarme che per primo vide quel corpicino e lo prese delicatamente tra le braccia, Mehemet Çiplak, 39 anni, padre di un bambino di sei, fu fortemente scosso da quella vicenda, e nell'unica intervista rilasciata raccontò così i suoi pensieri mentre si avvicinava: "dicevo fra me e me: Dio, fa' che sia vivo. Ho cercato di capire se ci fosse un segno di vita ma niente. Non c'era più niente da fare. Mi sono sentito tristissimo". Sono impressioni ed emozioni prima che pensieri, quelli ai quali l'uomo diede corpo proseguendo il suo racconto: "Quando l'ho visto ho pensato subito a mio figlio e per un momento ho provato a immaginare suo padre, è stata una sensazione tragica, non so nemmeno come descriverla. All'improvviso, più che un militare che stava facendo il suo lavoro mi sono sentito come un padre che teneva in braccio il proprio bambino". La cronaca avrebbe dato conto della disperazione del padre di quel bambino, unico sopravvissuto.
Potenza di un'immagine

Di fronte a quella foto, che in breve tempo divenne un simbolo, di fronte all'umanità che quell'immagine risvegliava, non era possibile non vedere, o non sapere. Nick Logan di Global news dichiarò che "il fotogiornalismo a volte cattura delle immagini così potenti che il pubblico o i decisori politici semplicemente non possono ignorare cosa rappresenta". A parte la relazione, importante, tra pubblico e decisori politici, quella foto, la sua verità inequivocabile che richiamava ciascuno alle sue responsabilità, ebbe conseguenze sia sul dibattito pubblico in Canada durante le elezioni federali, sia sulle politiche dell'Europa e di alcuni dei suoi stati. La Germania accolse alcune migliaia di rifugiati bloccati in Ungheria, i paesi dell'Europa centrale e orientale accettarono di creare corridoi umanitari che andavano dalla Grecia del nord alla Baviera del sud, la Gran Bretagna diede disponibilità a ricevere 4mila rifugiati l'anno fino al 2020, e i leader europei elaborarono un piano di accoglienza per 120mila migranti che si trovavano in Italia e Grecia. Misure temporanee, sull'onda dell'emozione e dell'indignazione, eppure misure concrete. Dal 16 ottobre 2017 una scultura raffigurante il piccolo Aylan è esposta presso la sede della Fao a Roma, donata e inaugurata da papa Francesco in occasione della sua visita per la Giornata Mondiale dell'Alimentazione, prima di intervenire sul tema "Cambiamo il futuro dell'emigrazione - Investiamo nella sicurezza alimentare e nello sviluppo rurale".

Il futuro dei giornali e dell'informazione

In un suo recente intervento sul futuro del giornalismo fatto ad Assisi al "Cortile di Francesco", il presidente onorario del gruppo Gedi, Carlo De Benedetti, riflettendo sulla crisi dei giornali in tutto il mondo occidentale, ne ha ribadito il ruolo insostituibile di pilastri della democrazia, sottolineando contemporaneamente che l'inevitabile futuro della carta stampata sarà legato non tanto al dare le notizie (che si diffondono più velocemente e per altri canali), quanto piuttosto alla maggiore offerta di sapere e di analisi, di riflessione e di comprensione dei fatti e delle loro conseguenze .

In questo panorama in evoluzione, in cui la velocità è elemento determinante, riteniamo che sia utile, per i giornalisti e non solo, uno strumento di analisi come il nostro Desk, approfondimento di un tema e contemporaneamente aggiornamento sul mondo dei media con le sue criticità, grazie al contributo di analisti e di studiosi e contemporaneamente alla testimonianza dei cronisti sul campo, in prima linea come si sta in frontiera . Mettere in circolo esperienze, nomi e storie, fornire dati, elementi di analisi e considerazioni su un uso corretto delle parole e delle immagini, sfatare qualche luogo comune (come l'erronea percezione del fenomeno immigrazione da parte degli italiani), sottende la speranza di dare il nostro piccolo contributo a quell'informazione corretta che - sola - può aiutare a non alterare quanto, piuttosto, a servire la verità.

Tornando alla riflessione di De Benedetti, mentre le conseguenze della digitalizzazione del mondo e delle informazioni sono sotto gli occhi di tutti, con gli inevitabili cambiamenti ai quali sempre di più saranno costretti i giornali, la sua proposta è che quegli stessi siti, social e motori di ricerca che fruiscono gratuitamente delle news e del lavoro giornalistico ricavandone guadagni pubblicitari, partecipino "all'aumento dei costi che l'aumento della qualità dei giornali comporterà". Cosa che "andrebbe fatta a livello europeo, ma l'Italia può iniziare".

È uno spunto interessante mentre i processi si sviluppano veloci, come documenta il Censis nel XIV Rapporto sulla comunicazione firmato insieme all'Ucsi, che ne ebbe l'idea originaria, e di cui diamo conto su questo nostro numero /vedi anche qui). Preoccupa il dato di quell'oltre la metà degli utenti di internet cui è capitato di dare credito a notizie false, mentre i tre quarti degli italiani giudicano le fake news un fenomeno pericoloso. Al giornalismo nel tempo della post-verità abbiamo dedicato il primo numero di Desk del 2017, ma la riflessione dell'Ucsi sul tema prosegue, nella consapevolezza che il periodo storico in cui viviamo ci pone, come comunicatori e giornalisti, pienamente dentro quel processo di spezzettamento di un immaginario collettivo non più omogeneo come un tempo. In linea con i tempi, il tema scelto dal Papa per la 52a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali è La verità vi farà liberi, (Gv 8,32). Notizie false e giornalismo di pace.

Migranti e rifugiati

Migrazioni e lavoro (insieme alle problematiche ambientali) sono stati i due temi messi a fuoco dal presidente Mattarella e da papa Francesco nel loro incontro al Quirinale del 10 giugno 2017, ma se il lavoro è sentito a livello di opinione pubblica diffusa come un'emergenza che tocca la gran parte delle famiglie italiane, l'immigrazione è un tema che non appassiona, che divide, e che è a volte usato in maniera poco corretta o strumentale. Basti pensare ai toni assunti dal dibattito sullo ius soli.
In mesi di acceso scontro politico sul tema immigrazione, tra il febbraio 2016 e l'estate 2017 i corridoi umanitari promossi dalla Comunità di Sant'Egidio insieme alla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e alla Tavola Valdese, grazie a un accordo tra Chiesa e Governo italiani, hanno portato in Italia dal Libano 900 profughi siriani, volendo conciliare accoglienza e integrazione, solidarietà e sicurezza. Sono cifre piccole rispetto alla totalità delle richieste e delle esigenze, ma l'idea, il "modello", ha testimoniato che quella strada è possibile. I corridoi umanitari sono "necessari per dare vita a una carità concreta che rimane nella legalità", ha detto il cardinale Gualtiero Bassetti nella sua prima prolusione da Presidente al Consiglio Permanente della Cei, dopo aver citato le migrazioni come uno dei quattro ambiti da non disertare, e sui quali bisogna fare un serio discernimento.

Arrivando a Bologna, il primo ottobre scorso, papa Francesco ha voluto incontrare, come prima tappa di una densa giornata, centinaia di immigrati che ha definito "lottatori di speranza". Guardandoli negli occhi ha detto di credere "davvero necessario che un numero maggiore di Paesi adottino programmi di sostegno privato e comunitario all'accoglienza e aprano corridoi umanitari per i rifugiati in situazioni più difficili, per evitare attese insopportabili e tempi persi che possono illudere". E' quando ci si guarda negli occhi e ci si riconosce come persone che si aprono nuove strade di comprensione e do soluzione dei problemi.
Una prospettiva interessante è indicata dalla campagna della Conferenza Episcopale Italiana "Liberi di partire, liberi di restare", che riconosce alle persone il diritto di restare nel proprio Paese senza che siano costrette a scappare per guerre o per fame. In prima linea su queste frontiere dei nostri tempi è come sempre la Caritas, con la campagna internazionale "Condividiamo il viaggio", lanciata da papa Francesco all'udienza generale del 27 settembre 2017, che incoraggia a livello non solo ecclesiale una via di apertura e inclusività, per un'accoglienza a braccia aperte.

A ciascuno la sua parte

Di fronte a fenomeni sociali di questa portata ciascuno ha un suo ruolo e una sua parte da fare: c'è chi studia e chi analizza fornendo strumenti di comprensione e di analisi, c'è la Chiesa, che negli ultimi anni ha fatto dell'attenzione ai fenomeni migratori mondiali una priorità assoluta, ci sono attori sociali come associazioni, Ong e volontari, c'è la politica, chiamata a trovare le strade e le risposte concrete per modelli nuovi di una possibile convivenza civile. E poi ci sono i veri soggetti, quelli che migrano, uomini e donne, giovani e bambini, cristianamente prossimo, laicamente parte di una stessa umanità rispetto a quelli che vivono sicuri nelle loro tiepide case .

Ce lo ricordano le testimonianze dei giornalisti in prima linea nel racconto delle migrazioni, con una stessa passione e uno stesso calore che accomunano credenti e non credenti. Perché tra quanti hanno la loro parte da fare, con gli strumenti propri del loro mestiere, ci sono anche i giornalisti, spesso pieni di domande alla ricerca di risposte. A loro non può essere estraneo nessuno degli ambiti citati, e nulla della vita.

Ultima modifica: Sab 10 Feb 2018