Cinque anni con Papa Francesco, una svolta anche per la comunicazione della chiesa. Intervista ad Alessandro Gisotti.

Cinque anni fa, il 13 marzo 2013, il Cardinal Bergoglio divenne Papa. E alla sera di quel giorno di fine inverno si presentò al mondo in maniera semplice ed efficace ma un po' insolita.. Già quello era il primo segno visibile delle novità che avrebbe introdotto nella comunicazione del papato e della chiesa.
Ne abbiamo parlato con Alessandro Gisotti, vaticanista della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede e professore di Teorie e Tecniche del Giornalismo alla Pontificia Università Lateranense.

Papa Francesco ha certamente cambiato anche il modo di comunicare della chiesa. Quali sono le novità di maggior rilievo?

"Direi che innanzitutto c'è una novità nel linguaggio. Tutti ricordiamo l'effetto che destò il suo 'buonasera', prima parola pronunciata Urbi et Orbi cinque anni fa. Il linguaggio di Francesco si alimenta della quotidianità, del vissuto della gente, ne assume le immagini e le emozioni. Riscontriamo questo in particolare nelle omelie a Casa Santa Marta, cosi efficaci perché comprensibili a tutti. Anche nel suo modo di parlare, dunque, mi pare che Francesco cammini in mezzo al Popolo di Dio, anche il suo modo di comunicare è "sinodale". In qualche modo la visione della "Chiesa in uscita" vale allora anche per la comunicazione. Per Bergoglio, la Chiesa deve comunicare con tutti e non escludere nessuno dal dialogo, anche e forse soprattutto gli interlocutori più 'scomodi'".

Eppure tu hai descritto anche il 'filo di continuità' che esiste con gli ultimi pontefici, e lo hai fatto proprio su questo sito. Un particolare che a volta sfugge agli osservatori...

"Se per il linguaggio è evidente un registro diverso, la continuità sui temi fondamentali è, secondo me, molto forte tra Benedetto e Francesco. Senza allargare troppo il ragionamento, mi pare che proprio sul valore della comunicazione ci sia una straordinaria sintonia tra i due Pontefici. Per entrambi, infatti, la comunicazione deve essere al servizio della persona e della comunità. Anche quando si confrontano con la realtà dei nuovi media, dei social network, Ratzinger e Bergoglio ne sottolineano la dimensione umana, relazionale, piuttosto che quella tecnologica. Di qui anche l'importanza che hanno attribuito alla presenza in prima persona sulle Reti Sociali con gli account Twitter e Instagram. Come a dire che i cristiani devono starci, 'abitare' questo nuovo 'Continente digitale', perché anche quella è terra di evangelizzazione".

Ma il Papa non si è limitato a quello. Ha rivolto anche molti appelli ai giornalisti e ai comunicatori per una 'buona comunicazione', che è poi l'argomento del tuo libro. Cosa è la 'buona comunicazione'?

"Credo che Papa Francesco abbia dato delle ottime indicazioni nei suoi Messaggi per le Giornate delle Comunicazioni Sociali, laddove innanzitutto sottolinea che il vero potere della comunicazione, quando è "buona", è il potere della "prossimità". Quindi, una comunicazione che si fa prossima all'altro, che ne rispetta la sua dignità. Mi ha molto colpito quando parlando nell'udienza all'Ordine dei Giornalisti Italiani nel settembre del 2016, il Papa ha detto che la critica è necessaria, ma il 'giornalismo non può diventare un'arma di distruzione di persone e addirittura di popoli'. E' un richiamo molto forte alla nostra professione. Innanzitutto come cristiani, dovremmo promuovere un giornalismo che, a partire proprio da un uso corretto delle parole, sia sempre rispettoso, che non alimenti la rabbia e la paura".

Qual è secondo te l'episodio che più di ogni altro segna la 'svolta' nella comunicazione di Francesco?

"E' difficile trovare un momento 'spartiacque'. Certo, come già dicevo, il 'buonasera' del 13 marzo 2013 ha fatto immediatamente capire che qualcosa era cambiato nella modalità di comunicazione di un Pontefice. Tuttavia, come sappiamo e leggiamo in Evangelii Gaudium, per Francesco è più importante 'avviare processi che occupare spaziì. E' con questo spirito che va dunque, secondo me, osservato e interpretato il suo modo di comunicare. La comunicazione di Francesco non è mai autoreferenziale, 'non sta ferma', è in movimento, sempre protesa verso l'altro. Una comunicazione missionaria, apostolica che vuole dare linfa alla "cultura dell'incontro". Certo, questo comporta dei rischi, ma il Papa, che ne è consapevole, ci dice che non ci si può rifugiare nel 'si è sempre fatto così'. Penso infine che la sua sia una comunicazione sorprendente, perché Francesco si lascia sorprendere da Dio!"

Ultima modifica: Lun 12 Mar 2018

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