Almeno teniamo in noi 'sorella inquietudine'!

Dice ora il giornalista Paolo Borrometi, minacciato di morte dalla mafia: “voglio fare un appello ai tutti i colleghi: se continuano a dire che la mafia non esiste, sono loro che mi stanno condannando a morte”. Un richiamo forte, accorato, che pone al centro dell’attenzione il tema del ‘ coraggio’ dei giornalisti. E così vi riproponiamo il contributo scritto per questo nostro sito da Mauro Banchini pochi giorni fa, commentando il vangelo della Settimana Santa. Quel giorno c’era il racconto del tradimento, per poco coraggio, di Pietro (a.r.)

Mauro Banchini

Dovrebbe, il coraggio, avere un posto d’onore nella cassetta degli attrezzi del giornalista. E’ strumento leggero (pesa assai di più, in quella cassetta, l’attrezzo della viltà) che rende leggeri, aiuta nel cammino faticoso verso la coerenza fra principi e scelte.
Ma il coraggio mette a rischio chi lo pratica, crea tanti problemi. Molto meglio comportamenti più “saggi”, scelte più realistiche. I coraggiosi sono apprezzati, perfino celebrati, solo dopo (talvolta dopo la morte. Si beatificano. Si dedicano loro premi): sul momento appaiono ingenui, romantici, rompiscatole, sciocchi.

Se c’è una professione che chiama coraggio, questa è la nostra.
Raccontare gli accadimenti così come sono, tentare di rispettare quella dimensione complessa chiamata “verità sostanziale dei fatti”, illuminare ciò che altri vorrebbero tenere in penombra se non nell’oscurità: per fare questo, di coraggio ne occorrono tonnellate. Tutti i giorni. Ovunque. Sia si operi nelle “periferie” del mondo (forse qui le tonnellate necessarie sono addirittura maggiori) sia si raccontino i grandi scenari di una globalità sempre più misteriosa.

Pietro di coraggio ne aveva. Sembrava ne avesse. Poi la paura prese il sopravvento perfino in lui, che poco prima aveva ricevuto il “primato”. E il gallo cantò tre volte. Anche per Pietro. Che poi “pianse amaramente”.

Siamo un po’ tutti Pietro. O don Abbondio. Il nostro, quando va bene, è un coraggio intermittente. Teniamo tutti “famiglia”. Non mi straccerei però troppo le vesti per questa nostra normalità, di professionisti ordinari, impastati con coraggio e viltà.

L’importante, mi sa, è che dentro di noi resti sempre accesa anche una sola scintilla di inquietudine. Quella dote, l’inquietudine, che nelle scelte quotidiane può aiutarci: a star male quando sappiamo di aver tradito; a sostenerci quando, ogni tanto, il coraggio di stare contro-corrente finiamo per trovarlo.
Se ne avessi il potere farei un monumento. Dedicato proprio a sorella inquietudine.

nel riquadro: 'Negazione di San Pietro' di Caravaggio (1609), Metropolitan Museum of ArtNew York

Ultima modifica: Ven 13 Apr 2018