Giovani Giornalisti/1 - 'E tu di cosa ti occupi?' Riflessioni sui giovani e sulla difficoltà di trovare lavoro (con una proposta)

Comincia oggi una serie di articoli scritti da giovani giornalisti che condividono il percorso della nostra associazione. Abbiamo chiesto loro di evidenziare le difficoltà che incontrano nell'affacciarsi a questa professione, di parlare delle ambizioni che hanno, di lanciare piccole o grandi proposte per il futuro. Speriamo che questo serva ad aprire un confronto più ampio (a.r.)

Intorno all Primo Maggio, raccolgo la sfida di chi mi esorta a riflettere sul lavoro, sulle chiarissime difficoltà di trovarlo nel giornalismo, soprattutto per un giovane che desidera diventare giornalista. E’ un tasto delicato questo, l’interruttore che accende il mondo interiore di chi cammina su un terreno fragile e franoso, fatto di buchi, di insidie, di salti all’ostacolo e incertezze. Il finanziere-scrittore Guido Maria Brera afferma che “È la prima volta che, senza passare da una guerra, una generazione si ritrova più povera della precedente. Ex ragazzi nati borghesi rimasti fuori dalle graduatorie vedono svalutare il loro talento perché i privilegi dei genitori non sono un loro diritto.

La promessa è che le loro aspirazioni verranno realizzate a colpi di titoli di studio ed esperienze formative, che paiono non finire mai”. E’ sempre più evidente che, oltre agli anni di studio, ne seguiranno altri impiegati tra stage più o meno retribuiti, tirocini e borse di studio, in una spirale di formazione perenne. Tanti sono i ponti che collegano il percorso formativo con quello lavorativo. Il ponte, purtroppo, molto spesso rimane sospeso, privo di un approdo sicuro. Risulta sempre più difficile completare l’operazione di connessione poichè pochi sono quelli che, alla fine di tali percorsi, riescono a firmare il primo contratto di lavoro. La ricerca di un impiego resta quindi un’operazione complessa.

L’impegno di tutti deve sicuramente convergere sulla restituzione della dignità al lavoro, con conseguente dignità alle persone. La domanda “Che lavoro fai?”, per questioni di delicatezza, viene spesso sostituita da un generico “Di cosa ti occupi?” per non urtare la sensibilità e la disperazione di chi si sente svuotato, inoccupato ed inutile per la società. Da una parte il lavoro: quello sognato, promesso, tradito, cercato e inseguito, lo stesso che si fa fatica a nominare in pubblico, per paura di non far soffrire chi non ce l’ha. Dall’altra i giovani Millennials, i nati tra il 1980 e il 2000, spesso dipinti come scansafatiche, “bamboccioni”, “sfigati”, “choosy” e anche Neet, persone non impegnate nello studio, né nel lavoro né nella formazione. Alcuni sono diventati indolenti a causa dell’iperprotezione data dalla famiglia in cui vivono e sono demotivati dai genitori stessi ad accettare lavori sottopagati e troppo faticosi.

Il mondo, per fortuna, è abitato anche da tanti giovani che studiano e si impegnano con serietà e passione nella costruzione di una società civile che non si dimentichi degli ultimi, che credono fermamente nel valore del lavoro come fondamento di comunità. A questi ragazzi, che si scontrano quotidianamente con la difficoltà di trovare un lavoro, è richiesto lo sforzo di non abbattersi difronte alle tante esperienze scoraggianti e di scoprire il dono della resilienza: la capacità di adattarsi al cambiamento, di reagire con coraggio e positività rimettendosi in gioco e sperimentando vie nuove, senza lasciarsi prendere dallo sconforto. Ma l’adattamento non basta, occorrono risposte concrete alle domande di quanti sperano di inserirsi nel mondo del lavoro. Dove può essere una soluzione? Cosa dovrebbe accadere? Chi potrebbe agire?

Ecco, io vorrei fare un tentativo di ‘indicare una strada’, un percorso, una possibile via di uscita. Si potrebbe pensare ad una legge che imponga alle testate giornalistiche di essere composte, per una quota pari al 20%, da giovani, ovviamente meritevoli, che siano assunti per capacità, merito e competenze e non solo in quanto giovani, ça va sans dire.

Nessuno merita di essere disoccupato. Sento ripetere che alcune facoltà sono inutili. E’ giusto obbedire alle leggi del mercato, ma è altrettanto importante rispondere alla vocazione, ciò per cui siamo nati, ciò che siamo destinati a fare per lasciare una traccia indelebile nella società in cui viviamo. Il capitale umano resta sempre un valore insostituibile. Nella lingua greca c'è un verbo che ho sempre amato per il suo profondo significato: λανθάνω, ottengo in sorte, per volere degli déi. I giovani equilibristi, in precario cammino tra gli snodi dell’esistenza, desiderano essere messi nella condizione di realizzare se stessi accettando ciò che ottengono in sorte.

L’accettazione presuppone un grande esercizio di saggezza, ma non è sufficiente. Occorre grinta, passione e dedizione, uno sguardo vigile sulla realtà, ma pronto ad intercettare le nuove possibilità di lavoro che si scorgono all’orizzonte. Faccio mie le parole che Papa Francesco ha pronunciato nell’Omelia della Messa nella Piana di Sibari il 21 giugno 2014: “Cari giovani, non lasciatevi rubare la speranza!”. Auguro a me stessa e a tutti i ragazzi di non smettere di cullare il sogno di vedere realizzate le nostre aspirazioni lavorative e i desideri più profondi, animati dal motore dell’amore per la bellezza, inesauribile fonte di conoscenza e di umiltà.

Ultima modifica: Gio 3 Mag 2018