Giovani Giornalisti/6 - Il 'patto generazionale' che vorrei davvero

Una nuova riflessione (la sesta) dei giovani giornalisti che con noi dell’Ucsi condividono il percorso di formazione e di ascolto. Leggiamo, dunque: possiamo non essere d'accordo, o esserlo solo in parte. Resta tuttavia un originale (e vivace) contributo all dibattito pubblico.

Mirko Giustini

Mai come nell’era della post verità, del giornalismo 4.0 e dello scandalo Cambridge Analytica occorre un potenziamento dell’Ordine dei giornalisti e la stipula di almeno tre "patti".

L’Ordine in particolare dovrebbe valorizzare i suoi iscritti attraverso:

- l’abolizione di elenchi diversi da quello dei giornalisti che svolgono professionalmente il loro lavoro. Infatti manca di realismo chi pensa che i freelance non possano essere ostaggio di editori senza scrupoli, che alcuni pubblicisti non siano troppo impegnati in secondi lavori per garantire un’alta qualità degli articoli e spesso addetti stampa non siano costretti a barattare il loro spirito critico per un posto di lavoro. A queste tre categorie dovrebbe essere offerta l’opportunità di passare all’Albo dei professionisti dopo aver sostenuto l’esame di ammissione senza ulteriori oneri;

- la selezione preventiva dei corsi di aggiornamento professionali. Si assiste sempre più spesso a una strumentalizzazione di tale opportunità per pubblicizzare eventi che poco hanno a che fare con la formazione;

- l’istituzione in un Collegio che rappresenti le tante associazioni del settore per unificarne la voce e ottimizzarne le istanze.

Inoltre l’Ordine, secondo me, dovrebbe trovare la forza e il coraggio di decretare l’incompatibilità di qualsiasi carica politica, di qualsiasi livello, con l’iscrizione all’Albo dei giornalisti, evidenziando il macroscopico conflitto di interessi.

1. Patto con le università.

Un aspirante giornalista sa bene che non esiste un percorso chiaro e univoco per accedere alla professione. Bisogna dunque istituire una laurea magistrale che raccolga i laureati triennali delle facoltà di Lettere, Economia, Giurisprudenza, Scienze politiche e Scienze delle comunicazioni. Tale corso dovrebbe avere le seguenti caratteristiche:

- il numero chiuso, che interverrebbe sullo spropositato numero di giornalisti in Italia;

- costi contenuti, per garantire l’accesso anche ai meno fortunati;

- durata biennale, dopodiché lo studente avrebbe la possibilità di accedere direttamente all’esame per diventare professionista.

Si capisce che tale strumento dovrebbe essere pubblico e sostitutivo (o almeno alternativo) alle attuali scuole di giornalismo private. In ogni regione dovrebbe esserci almeno un Ateneo disposto a erogare questo titolo di studio.

2. Patto con gli editori.

Sarebbe opportuno aprire un tavolo per introdurre l’obbligo di assunzione di giornalisti professionisti tramite il contratto collettivo nazionale (una chimera per la stragrande maggioranza degli iscritti all’Albo), dopo un periodo di stage di massimo sei mesi non prolungabili. Si arriverebbe ad a inserire sul mercato meno giornalisti, ma più preparati, in modo da ribaltare il rapporto domanda-offerta di lavoro a vantaggio della categoria. Figure quali blogger, citizen journalist ed esperti in settori specifici non possono in alcun modo essere paragonati ai giornalisti. Possono esprimersi in altri spazi diversi da un giornale, quali i blog, i social network e le riviste di settore o aziendali.

3. Patto generazionale.

E' il Patto più importante, certamente. Gli anni d’oro del giornalismo sono finiti e l’integrazione tra giornalismo e nuove tecnologie ha dimostrato che la rivoluzione digitale non è il futuro ma il presente, se non addirittura il passato prossimo dell’informazione. Posizioni restauratrici, nostalgiche di tradizioni ormai perdute, non solo risultano essere anacronistiche e di ostacolo al rinnovo della classe dei professionisti, ma spesso tradiscono grotteschi tentativi di conservazione di privilegi non più sostenibili. È necessaria dunque un’assunzione di responsabilità da parte dei colleghi che hanno terminato con successo le loro carriere e che sono chiamati a godersi le loro meritate pensioni. La “terza età” del giornalista dovrebbe essere orientata alla scoperta e alla coltivazione di nuovi talenti, fuori, sia chiaro, da qualsiasi logica legata alla “rottamazione”. Ai giovani servono esempi, maestri e mentori, che sappiano tramandare loro la vera essenza della democrazia.

Ultima modifica: Ven 18 Mag 2018