Il calcio (lo sport) è di tutti.

I lusinghieri risultati di ascolto e interesse per i Mondiali di calcio in tv, nonostante l’assenza della nostra Nazionale, svelano una verità scomoda per i ‘padroni’ dello sport: non si può vendere tutto, non è possibile limitare la visione dei grandi eventi ad un pubblico circoscritto e ‘pagante’. Tanto meno oggi, con la crisi economica e con le gravi disuguaglianze che viviamo.

Fino al 2002 per i Mondiali non era così, almeno in Italia. Il 2006 segnò anche da noi l’ingresso della pay tv. Certo, le partite dell’Italia erano visibili a tutti, sulla Rai, così come tante altre sfide interessanti (quasi tutte quelle serali). Ma non era più ‘tutto’, l’insieme. Era solo una parte, anche se la più attraente per gli sponsor e per gli spettatori.

La stessa cosa è accaduta, purtroppo con minori fortune degli azzurri, nel 2010 e nel 2014: chi non pagava un abbonamento non poteva vedere tutte le partite. In questi ultimi anni è successo spesso anche per le Olimpiadi, con il paradosso degli ultimi Giochi invernali resi praticamente invisibili da una dura battaglia tra grandi piattaforme (e con la lodevole eccezione invece dei Giochi di Rio del 2016, che la Rai ha seguito magnificamente).

Per chi, come me, ha superato i 50 anni, è stato un colpo difficile da digerire. Ero abituato da bambino a non staccarmi mai dalla tv, quando c’erano le partite dei Mondiali e le gare di atletica o di nuoto alle Olimpiadi. E ho sempre pensato che poter vedere tutto, e sentirlo raccontare nella maniera migliore possibile, fosse un diritto minimo garantito per tutti. Soprattutto per chi in quei giorni non poteva neppure permettersi una vacanza vera e tuttavia si concedeva un divertimento sincero restando incollato al piccolo schermo. Purtroppo non è stato più così: la logica dei diritti sportivi ha cambiato radicalmente le cose, nel calcio, nel tennis, nella Formula 1, nel basket...

Nessuno qui chiede un ritorno al passato per tutto. Sarebbe probabilmente irrealizzabile, visto il giro d’affari che c’è dietro. Ma almeno i Mondiali e le Olimpiadi salviamoli dalla voracità del business ad ogni costo. E’ quasi una questione di ‘democrazia’.

Il ragazzo innamorato di Ronaldo o di Kane non deve pagare per forza per vederlo giocare nella manifestazione più importante dello sport più popolare e praticato. Non ci possono essere telespettatori di ‘serie A’ e altri di ‘serie B’ solo perché i primi possono spendere e i secondi no. Servirebbe una legge, una sorta di moratoria almeno per i Mondiali di calcio e le Olimpiadi.

In attesa di un interessamento del legislatore (chissà se qualcuno se ne prenderà la briga, prima o poi) è stato il mercato stesso a premiare una scelta di segno opposto. E Mediaset ora gioisce degli straordinari risultati ottenuti proponendo il calcio mondiale a tutti. Tanto che – nota qualche osservatore – sta valutando la possibilità di tornare a trasmettere il grande calcio in chiaro, per tutti, senza schede o barriere tecnologiche a pagamento. Magari questo farà il bene anche dello sport. Che sarà più visto, più apprezzato, davvero più ‘ democratico’.

Ultima modifica: Lun 9 Lug 2018

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