Pensare narrativo ai tempi dei social per dire no alle 'bufale' in rete

Il buon senso c’era ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”. E’ una frase che Alessandro Manzoni, nel trentaduesimo capitolo de I Promessi Sposi scriveva a proposito degli untori e della peste. Una frase citata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella incontrando i giornalisti in occasione della cerimonia del ventaglio al Quirinale.

La frase di manzoniana memoria è adattabile al web e ai social network: ”Siamo tutti consapevoli, naturalmente, che vi sono usi distorti – talvolta allarmanti – del web” ha detto Mattarella sottolineando come “vi appaiono segni astiosi, toni da rissa, che rischiano di seminare, nella società, i bacilli della divisione, del pregiudizio, della partigianeria, dell’ostilità preconcetta che puntano a sottoporre i nostri concittadini a tensione continua”.

Un invito “a chi opera nelle istituzioni politiche – ma anche a chi opera nel giornalismo – di non farsi contagiare da questo virus, ma contrastarlo, farne percepire, a tutti i cittadini, il grave danno che ne deriva per la convivenza e per ciascuno. Vi è il dovere di governare il linguaggio”.

Un passaggio che richiama alla riflessione e al coraggio nei giorni del 4.0, della “viralità” e dell’esigenza di una governance in quel mare magnum rappresentato dai social network. Spesso aziende, istituzioni, associazioni e movimenti, singoli cittadini (anch’essi editor e produttori di notizie) sono coinvolti, se non addirittura inghiottiti, in un mondo digitale pervasivo, in balia di un sentiment che riporta alla memoria i percorsi mentali di Gesualdo Bufalino in Diceria dell’untore.

Ma, come ha sottolineato Mattarella “la dimensione digitale costituisce per molti aspetti – largamente prevalenti – un grande contributo all’unità del Paese: realizza una connettività che lo rende più integrato e più saldo nei vincoli che lo tengono insieme”. Dunque se usato con buon senso, con discernimento e responsabilità questo mondo potrebbe dare una risposta alle fake-news, o meglio, delle bufale in rete e nei social che spesso influenzano i cittadini e mettono a dura prova l’azione di fact-cheking degli operatori dell’informazione.

Si tratta dunque, come scriveva Paul Ricoeur di tradurre l’intraducibile e provare a trovare strade nuove e nuovi metodi. A metà luglio 2018, i titoli delle agenzie, dei giornali on line e dei blog hanno scritto che “l’82% degli italiani non sa riconoscere una bufala sul web”. Il riferimento è all’interessante “Rapporto Infosfera” disponibile nel sito dell’Università degli studi “Suor Orsola Benincasa” di Napoli (leggi anche qui). Tra le righe dello studio traspare una difficoltà di interpretazione e di “governance” delle reti sociali da parte di larghi strati della società italiana. La domanda, per citare Antonio Lubrano in una sua famosa trasmissione Rai, sorge spontanea: c’è un lato positivo di Facebook, Wikipedia, Twitter e Instagram? I social network potrebbero funzionare come luoghi della memoria? Possono diventare ambienti dove è possibile riscoprire storia e storie? E ancora: potrebbero rappresentare spazi in cui innescare nelle giovani generazioni, e non solo, la curiosità di capire, approfondire e farsi un’idea su come e perché i nonni e i bisnonni vivono il presente e lo confrontano con il passato? Forse sì.

Un film del 2017, Undercover Grandpa, con un cast di “vecchietti” del grande schermo del calibro di James Caan (Misery non deve morire, Il Padrino, Quell’ultimo ponte e centinaia di altri film), Luis Gosset Jr (Oscar 1983 come attore non protagonista per Ufficiale e Gentiluomo), Paul Sorvino (Quei bravi ragazzi di Martin Scorsese o Gli intrighi del potere di Oliver Stone) e tanti altri, ricoprono il ruolo di alcuni nonnetti che aiutano il nipote e altri adolescenti a sgominare una banda di criminali. I ragazzi si stupiscono delle parole e dei racconti di questi uomini e comprendono che certamente non sono sul viale del tramonto. Anzi è possibile ripercorrere insieme a loro una storia che sui libri di scuola non c’è. Le drammatiche vicende della Seconda guerra mondiale, la ricostruzione e il boom economico, la paura della bomba atomica durante la “guerra fredda” e la crisi dei missili di Cuba (per farsi un’idea basta guardare il film JFK. Un caso ancora aperto con Kevin Costner), le crisi economiche e i parallelismi tra il 1929 e i nostri giorni. Tutte fasi che gli anziani hanno vissuto e che restano un patrimonio culturale non indifferente.

Film, libri, articoli, musica e canzoni possono rivivere una nuova vita grazie ai social network. Possono innescare dibattito e interazione integrandosi con le iniziative già in atto dei teleforum o dei cineforum, dando vita a una dimensione digitale di qualità che aiuta alla costruzione della memoria e perché no a incidere a livello culturale. Può essere una strada per realizzare, riprendendo le parole di Mattarella, quella “connettività” che “rende più integrato e più saldo nei vincoli” il Paese. Fare dei social network dei luoghi della memoria e parlare di storia e di cultura dentro e fuori da essi può essere una risposta alla fuffa, alle fake-news e alle bufale che girano in rete. Potrebbe essere un modo per raschiare un sicomoro digitale e farlo rifiorire attraverso contenuti di qualità.

Insomma uno stimolo per tutti a “pensare narrativo” e cavalcare l’onda delle “stories” che gli stessi Facebook, Instagram, Twitter e tanti altri strumenti utilizzati in Rete mettono a disposizione, ma con una marcia in più: alimentando contenuti di qualità.

Ultima modifica: Ven 3 Ago 2018