Storie di usura e di una comunicazione (su questo fenomeno) spesso assente o superficiale

Affrontiamo il tema dell'usura, oggi, nella nostra consueta rubrica #deskdelladomenica, con una storia drammatica ma anche piena di speranza che ci racconta Michela Di Trani sull'ultimo numero della rivista Desk. 

Michela Di Trani (2018)

L’usura uccide. L’uomo nella sua dignità. L’economia nella sua produttività. È un fenomeno antico quanto l’uomo, che si evolve e si emancipa con i modelli e con i cicli congiunturali di un Paese. La sua condanna è una costante nella Scrittura, il Catechismo della Chiesa Cattolica, ampliando il comandamento biblico «non uccidere», afferma: «Quanti nei commerci usano pratiche usuraie e mercantili che provocano la fame e la morte dei loro fratelli in umanità, commettono indirettamente un omicidio, che è loro imputabile».

La crisi economica del 2008 le ha dato nuovo vigore e slancio; il suo incremento riguarda almeno tre elementi: le famiglie in condizione di povertà “tradizionale”; le famiglie (consumatrici e produttrici) che presentano uno stato di sovraindebitamento; le piccole e medie imprese che precipitano verso il fallimento per la progressiva caduta della domanda dei loro prodotti o servizi.

Fonti ufficiali (elaborazioni su dati Banca d’Italia, indagine triennale sulle famiglie) contano oltre un milione di famiglie in stato di sostanziale fallimento economico. Nell’ultimo anno del quale si posseggono i dati, cioè nel 2015, sono state oltre 225.891 le esecuzioni immobiliari in Italia. Dato aggregato che equivale a una media di 620 immobili all’asta al giorno. Inoltre, dalla Relazione al Bilancio 2016 della Consulta Nazionale Antiusura “Giovanni Paolo II”, organismo socio-assistenziale della Conferenza Episcopale Italiana, si legge che secondo calcoli estremamente prudenti e approssimativi per difetto, le famiglie sono esposte per 30 miliardi, ne hanno restituiti 66; le imprese del settore del commercio e dei servizi, a fronte di 5 miliardi di euro richiesti, ne hanno dovuti restituire 11; e le imprese agricole, a fronte di 2,25 miliardi richiesti, ne hanno dovuti restituire 4,95. Per un totale complessivo di 81,95 miliardi, pari a 5,5 punti di PIL. Sono solo alcuni degli indicatori che possono dare la misura del grado di indebitamento delle famiglie e delle imprese italiane.

Questi dati bisogna correlarli con un altro fenomeno simultaneo: la diffusione del gioco d’azzardo, che è in aumento in parallelo all’incremento del numero di persone che versano in fallimento economico. La diffusione dei debiti di massa collegati all’azzardo è emersa dall’ascolto delle persone delle Fondazioni Antiusura. Molte di loro sicuramente si sono rivolte al mercato illegale del credito. Ma le dimensioni, l’ampiezza della domanda e dell’offerta dell’usura non sono quantificabili. È un fenomeno sommerso e complesso che riguarda la società, le sue istituzioni, l’intero sistema economico, caratterizzato da una ambiguità tipica di molte attività illegali.

Nel 2016 il Comitato antiracket e antiusura del Ministero degli interni, così come pubblicato nella Relazione Annuale, ha esaminato 2.122 posizioni nel periodo gennaio-luglio, di cui 537 di estorsione per 6.473.829 euro e 1.585 di usura per 3.173.011,02 euro, per un totale di 9.646.840,54 euro. Ma il numero delle denunce delle vittime rappresenta solo la punta di un iceberg, sono molto condizionate dal contesto ambientale e sociale da cui provengono. Può accadere che in un territorio in cui l’usura è molto diffusa ma ad alta infiltrazione criminale, le denunce siano inferiori. Feconda nell’omertà, nel silenzio e nella paura degli usurati. Sono tante le persone che vivono, a volte muoiono, nella morsa dell’usura perché non hanno la forza di denunciare alle forze dell’ordine.

Le Fondazioni Antiusura, tra le due grandi crisi (1992-2008)

Da oltre venticinque anni, tramite le Fondazioni Antiusura, la Chiesa ha offerto un modello di apostolato rivolto ad assistere le famiglie finite nella morsa dell’usura. La prima Fondazione fu istituita a Napoli nel 1992 da Padre Massimo Rastrelli, parroco del Gesù Nuovo, che denunciò l’insidia dell’usura nelle famiglie italiane nonostante la modernizzazione del Paese. Oggi si contano trenta Fondazioni Antiusura, distribuite sul territorio nazionale, che sono intervenute durante le due grandi crisi economiche, assicurando un servizio costante e competente alle persone in sofferenza per indebitamento patologico.

La prima risale al 1992. La crisi attuale, giunta al decimo anno, ha comportato un taglio di quasi 25 punti della capacità produttiva del Paese. Negli anni le Fondazioni si sono aggiornate, formate, per assistere e accompagnare le vittime nel percorso di ‘esdebitamento’, dalla denuncia dell’usuraio all’impostazione di una nuova vita più sobria e più consapevole nell’uso del denaro. In quest’ottica fu istituita a Bari nel 1995 la Consulta Nazionale Antiusura “Giovanni Paolo II”, oggi presieduta da Mons. Alberto D’Urso, inizialmente costituita dalla Fondazione San Giuseppe Moscati (Napoli, 1992), dalla Fondazione San Nicola e SS. Medici (Bari, 1994), dalla Fondazione Vincenzo Cavalla (Matera,1994) e dalla Fondazione Salus Populi Romani (1994).


Le Fondazioni Antiusura operano costruendo reti di solidarietà intorno alle vittime e facendo emergere aspetti importanti delle relazioni tra le persone (in particolare quando esse compongono una famiglia). Permettono quindi, a chi versa in condizioni di sofferenza, di scoprire delle “soluzioni nascoste dietro il problema”. L’accompagnamento delle famiglie prosegue fino alla conclusione della crisi, ottenendo degli importanti successi laddove la “semplice” analisi tecnica porterebbe a escludere ogni chance. Improntando la loro attività a un messaggio positivo, riescono a coinvolgere persone in veste di operatori di svariate professionalità, nei campi del diritto, dell’analisi tecnico-contabile, nelle procedure bancarie, nel sostegno psicologico-sociale, nell’ascolto della persona e in tante altre competenze. Tutto ciò costituisce il patrimonio, anche specialistico, dei volontari delle Fondazioni riunite nella Consulta Nazionale Antiusura.

L’Usura e la Comunicazione

L’usura è alla periferia del mondo mass mediale. La comunicazione è spesso assente o superficiale e imprecisa. La maggior parte delle testate giornalistiche non tratta il tema in tutta la sua complessità: l’attenzione si limita per lo più allo sbattere in prima pagina i casi di arresti di bande di usurai. Ma l’usura non è solo cronaca giudiziaria, è economia, politica economica, ha che fare con la dignità e il benessere della persona, e quindi con la stabilità economica e sociale del Paese. L’indebitamento patologico delle famiglie italiane frena la ripresa economica. Argomenti che non emergono dai racconti giornalistici.

Riportiamo la storia di Rodolfo, tratta da “Usura, Paura e Misericordia”, di Michela Di Trani, edito da Gelsorosso (2015).

«Non posso dimenticare quella mattina, alle 7 mi squillò il cellulare e una voce mi disse di scendere. Sentii per la prima volta gli uccellini cinguettare, il profumo della vita, il sole splendeva e il cielo era azzurro. Era il giorno dopo la mia prima deposizione contro coloro che negli ultimi 4 anni mi avevano fatto più volte desiderare la morte, i miei “amici” usurai. Amici, appunto. Perché loro erano diventati tutta la mia vita.

...È iniziato tutto nel 2007, quando ho scoperto degli ammanchi di cassa nella gestione di una piccola impresa edile societaria. [...] Con il mio socio ci fu la rottura senza ritorno. Ci dividemmo i debiti e i crediti. Io, più di lui, mi accollai il mutuo ipotecario di un terreno, pensando di potercela fare. Ma non andò come sperato, la crisi fece la sua parte. Tutto cominciò quando un fornitore che avevo pagato con un assegno postdatato non rispettò i patti e portò l’assegno in banca per l’incasso.

Ero disperato, non volevo farmi protestare. Mi confidai con un mio conoscente che mi presentò un “amico”. In quel momento almeno lo sembrava, sembrava essere l’unica ancora di salvezza. Quel momento, invece, fu l’inizio del tracollo.
Un prestito da 10mila euro diventò la mia persecuzione. Pretesero la restituzione in un’unica soluzione, ma non avrei mai potuto farcela, perché nel frattempo maturavano 1.000 euro di interessi al mese e per ogni giorno di ritardo dalla scadenza scattavano altri 100.

E poi ci furono i lavoretti, da loro commissionati, di ristrutturazione delle ville e delle abitazioni personali o dei loro familiari che puntualmente non erano mai pagati, ma che contribuivano a svuotarmi di tutto: non solo di risorse, ma anche di opportunità di lavoro. Intorno si spense tutto, il buio più totale. [...] Nella mia vita restarono solo loro.
E quando mi prosciugarono del tutto, presero a utilizzarmi per fare dei lavoretti sporchi. Vennero anche al funerale di mio padre, la mattina a farmi le condoglianze, il pomeriggio a battere cassa: una sera con la mia macchina, non sospettabile dalle forze dell’ordine, consegnammo un pacco che solo dopo ho saputo contenere due pistole. In quel momento capii che ero diventato uno di loro. [...]

Finché un giorno le mie tre sorelle si fecero trovare da sole a casa, unite e determinate a conoscere la verità, mi chiesero di raccontare giurando su nostro padre. Raccontai tutto. Una di loro era pronta ad andare alla Polizia per denunciare me e i miei aguzzini. Ma io l’anticipai. Ero già in contatto con una persona che ci era passata prima di me, che si era rivolta alla Fondazione. Una mattina ci incontrammo, mi raccontò il suo percorso, a cosa sarei andato incontro e poi insieme andammo alla Polizia per denunciarli. Arrivammo alle 19 e ne uscimmo alle 4 del mattino.
Il commissario mi lasciò con una promessa: “Io ti fermo tutto, ma ti anticipo che davanti a te c’è una strada in salita”.

Ci fu l’arresto subito dopo. Mi sembrava di stare in un set cinematografico. Il mio edificio era circondato di poliziotti, fuori e dentro. Ero terrorizzato, ma loro mi tranquillizzarono dicendomi che era finita. E così nel mio ufficio, mentre il mio amico intascò il denaro per l’ultima volta, si spalancò la porta e, come in un film, irruppe un grido “Polizia” e lo ammanettarono. Mi voleva uccidere con gli occhi. Uno gli mollò un ceffone e gli disse: “Guarda me, gioca con me, vediamo che sai fare”. Era un incensurato, fece 20 giorni di galera e 6 mesi agli arresti domiciliari. Mia madre e mia moglie furono tenute all’oscuro di tutto fino al momento dell’arresto. Ricordo che avevo una maglietta bucata al taschino, che conteneva una telecamerina che filmava tutto, mia moglie voleva buttarla, dovetti insistere molto per continuare a indossarla. Ma arrivò anche per loro il momento della verità. [...] Quando terminai la deposizione fu bellissimo tornare a casa e trovare tutta la mia famiglia riunita che mi aspettava, per le scale mi venne incontro a braccia aperte il più piccolo dei miei nipotini. Restai sveglio per tutta la notte, la mattina dopo, alle 7, i poliziotti erano già sotto casa. Quando scesi sentii gli uccellini cinguettare, ricominciai ad amare la vita. Si aprì un altro mondo davanti a me.

Le forze dell’ordine diventarono tutta la mia vita, insieme alla mia famiglia. [...] Ci sono stati momenti in cui non avevo il denaro per comprare da mangiare ai miei figli e per mandarli a scuola. Erano spariti tutti intorno a me, anche gli amici e le tante persone cui avevo fatto del bene. Rimase solo un amico che mi portava la spesa a casa, oppure al supermercato, arrivati alla cassa, mi metteva i suoi soldi in tasca e mi chiedeva di pagare il suo e il mio carrello. Mio cognato mi portava il pane e il latte tutti giorni.

Dovetti lasciare la casa in cui vivevo per prenderne una più piccola, attualmente non paghiamo l’affitto in quanto compensiamo con i servizi domestici che mia moglie fa alla famiglia del titolare. Fui costretto ad andare anche alla Caritas a prendere gli alimenti per la mia famiglia, fu davvero umiliante, mi vergognai. Le prime volte andò per me il mio amico o sua moglie. Poi presi coraggio, mia moglie e i miei figli avevano fame, e con la testa bassa per non farmi riconoscere cominciai ad andarci personalmente.

Furono tra i momenti più bui e tristi della mia vita. [...] Ero completamente solo. Nessun aiuto da parte dello Stato. Sono passati quattro anni dalla denuncia e ancora non sono arrivati i fondi, al momento c’è solo una lettera che comunica lo stanziamento.

Solo nella Fondazione di don Alberto trovai il sostegno e la guida legale, morale e psicologica ed economica. Mi prestarono 5mila euro, che mi consentirono di pagare gli affitti arretrati, le bollette delle utenze domestiche. Ma non mi sono mai perso d’animo finché non ho incontrato un imprenditore, per cui sto lavorando ancora oggi. Al primo appuntamento volli dirgli subito quale fosse la mia condizione prima che lo venisse a sapere dagli altri. Mi rispose che il lavoro era mio e non me lo avrebbe tolto nessuno. Anzi, mi disse: “Iniziamo subito, così cominci a incassare qualcosa”.
Anche qui non è stato tutto facile. Appena ho iniziato questo lavoro, ho trovato un socio, ma i miei aguzzini hanno fatto in modo che anche lui si allontanasse da me, gli hanno rubato il furgone e la macchina.

La mia vita sta tornando un po’ per volta alla normalità, anche se siamo ancora senza gas e ho molte bollette della luce arretrate. In compenso, l’ultima volta alla Caritas sono andato per donare i vestiti dei miei figli di quando erano piccoli. Anche quella volta a testa bassa, per non incrociare lo sguardo di quelli che come me non vogliono essere riconosciuti. Mi sono sentito bene. È stata una grande soddisfazione per me ricambiare chi mi ha aiutato nel momento del bisogno.
La mia angoscia più grande, in questo momento, è mia figlia. [...] Da quando le amichette l’hanno isolata, non vuole andare a scuola. Ha vissuto momenti troppo tristi e difficili da comprendere per una bambina, mi ha spiegato un amico, psicologo infantile. [...] Il suo sogno è andare a teatro a vedere “Romeo e Giulietta”. Le ho promesso che quando arriveranno i soldi che ci hanno stanziato, la porterò a Roma.

[...] E mentre cerco di ricomporre piano piano la mia vita, aspetto il giorno di potermi sedere di fronte a mia figlia per spiegarle tutto quello che ci è successo, rispondere alle sue domande. Spero di riuscire a riparare il dolore che ho procurato a lei e a tutte le persone che amo. È la mia unica speranza di vita».

Ultima modifica: Sab 18 Ago 2018