#AltraEstate/2 - L'energia che ci viene staccando (ogni tanto) la spina

Staccare la spina. Quante volte ci capita di usare questa (brutta) espressione per enfatizzare l’esigenza di uno stacco dai ritmi frenetici della routine lavorativa quotidiana? Una metafora, quella usata per le ferie estive, dal sapore però un tantino paradossale, per noi giornalisti: perché rinvia all’oggettiva necessità di “ricaricare le batterie” della propria energia vitale ma tentando - almeno per un po’ - di disconnettersi... impresa alquanto ardua per un comunicatore sociale di professione!

Eppure, proprio la pausa estiva - a prescindere dal dove trascorrerla - può diventare un’occasione preziosa di libertà creativa. Un’opportunità di (ri)scoperta di quello che Duane Elgin - nella scia di un allievo di Gandhi, Richard Gregg, che per primo usò la definizione nel 1936 - ha chiamato il valore della semplicità volontaria: che è un privarsi di qualcosa ma per lasciare maggiore spazio allo spirito e alla coscienza, per riuscire a discernere - e apprezzare - meglio la qualità della vita senza appesantimenti superflui che ostacolano l’approfondimento delle proprie possibilità.

In altri termini, “staccare la spina” in un mondo iperconnesso (e ipervirtuale) può aiutarci a riempire di senso nuovo la stagione estiva proprio grazie a quel vuoto momentaneo (vacanza deriva non a caso da vacuum) che non è vacuità nichilista, bensì spazio (e tempo) di otium nell’accezione che ne davano anche i nostri antenati latini, e lo stoicismo di Seneca in particolare: ossia, recupero di una dimensione di ricerca interiore, approfondimento, formazione, valorizzazione di legami concreti e relazioni autentiche per (tentare di) diventare più sapiens, più saggi. Anche in funzione del nostro mestiere di storyteller, reporter, esploratori dell’esistenza e cercatori di verità, più o meno nascoste.

Non a caso si intitola “Ozio lentezza e nostalgia” un sapido “decalogo mediterraneo per una vita più conviviale” scritto da Christoph Baker (pubblicato in Italia da Emi nel 2002), che varrebbe la pena di rileggere, per dedicarsi - almeno in vacanza - alle cose semplici della vita che conferiscono valore anche a quell’economia del dono studiata dall’antropologo Marcel Mauss e oggi ripresa da movimenti e pensatori attenti non alle logiche disumane del profitto, della velocità e del consumo ma alle dinamiche generative del capitale umano, fonte di (indispensabile) coesione sociale.

«Le persone - scrive Baker - non hanno più tempo per le emozioni, i sentimenti, le relazioni, il pensiero, la memoria, la festa, la vita. Non è assurdo tutto questo? Non ci si dovrà liberare, ritornando a quei ritmi che la natura suggerisce ed esige?». Già.

Vorrei chiudere questi frammenti di pensieri per un’AltraEstate con un ricordo personale, legato ai miei lunghi soggiorni di lavoro dagli anni Ottanta al primo decennio del Duemila in Giappone (Paese peraltro noto per il fenomeno del karoshi, la morte per superlavoro che causa diecimila vittime all’anno). Durante un tour de force particolarmente intenso, per un’inchiesta sulle tracce del sacro nel Sol Levante (poi confluita in un libro), ero talmente presa dalla mia full immersion da non concedermi alcuna sosta. Tanto che un gentile collega nipponico, evidentemente preoccupato del mio stacanovismo occidentale, mi suggerì sornione: “dopo ogni creazione è necessaria la ricreazione”... Una elegante lezione di vita. Che piacerebbe a Oblomov.

Ultima modifica: Lun 20 Ago 2018