#AltraEstate/8 - Il viaggio lento in auto, da Nord a Sud della penisola. Riscoprendo il valore della gentilezza.

Portami giù dove non si tocca, dove la vida è loca...” eccolo là il solito tormentone estivo che passa in radio una ventina di volte al giorno. Considerata la distanza da percorrere – più o meno 1200 chilometri dall’estremo nordest all’estremo sudest per tornare, ogni estate, alle radici salentine di una parte della famiglia –

non ce ne risparmiamo nemmeno una. Complici i giovanissimi di casa che canticchiano compiaciuti e non accettano di cambiare frequenza, il nostro viaggio estivo, in cerca di un po’ di ristoro e riposo tanto necessario e desiderato dopo un intenso anno di lavoro, ha la sua colonna sonora già definita.

Dicevo, circa 1200 chilometri. Un viaggio (sempre) infinito. Ora dopo ora, chilometro dopo chilometro si procede, agognando la mèta, sperando (inutilmente) che la distanza ad un certo punto si accorci. Anche quest’anno arriveremo al cartello autostradale che indica l’ingresso in Puglia. Anche quest’anno esulteremo. Per prendere immediatamente consapevolezza che, anche quest’anno, ci mancheranno ancora 400 chilometri da percorrere. Il viaggio è lungo. La Puglia, di più.

Quest’anno, però, un diversivo, per rallentare ulteriormente la discesa a sud. A metà strada la colonna sonora viene improvvisamente spezzata da fischi provenienti dalla macchina. Spie lampeggianti, segnali di guasto all’impianto elettrico. In sostanza, stiamo per piantarci. Il sangue freddo riesce a portarci fuori dall’autostrada, la provvidenza a farci fermare proprio davanti ad un’officina. È l’ora di pranzo, ma nel giro di mezz’ora ecco arrivare premurosi, dopo una telefonata di sos, i meccanici. La diagnosi è presto fatta: alternatore andato, batteria pure. Insomma un salasso. «Un bell’inizio di vacanza, non c’è che dire» risuona il mantra del lamento. Poi, tutto sommato, troviamo accoglienza. Un sushi bar che accetta di servirci solo qualcosa da bere senza costringerci a mangiare con la formula “all you can eat”: lo stomaco è chiuso per ferie dalla tensione. Il personale dell’officina, quindi, si dimostra subito molto sensibile: ci offre una sedia all’ombra, caffè, acqua fresca, un bagno pulito e quattro chiacchiere cordiali. Certo, sei ore di attesa per la riparazione non sarebbero state così semplici senza un minimo di ospitalità. «Poteva andare peggio» risuona tra noi il contro-mantra della consapevolezza e della gratitudine (alla luce dei tragici fatti di Bologna e Genova, avvenuti successivamente, non possiamo che ritenerci ulteriormente graziati, ndr).
Al nostro ringraziamento ripetuto e reiterato uno dei titolari risponde che «la gentilezza non costa nulla». Taccio e rifletto mentre ripartiamo per le ultime sei ore di viaggio.

Un alternatore costa una follia. La gentilezza non costa nulla. Magari sta proprio qui il segreto per lavorare tutti un po’ più sereni, mi dico. Mettere gentilezza nell’ascoltare le persone e le loro storie (essere gentili non significa essere meno professionali), nei rapporti tra colleghi, tra redazioni e collaboratori, tra editori e sindacati.

La gentilezza, ecco, non ci renderà economicamente più ricchi (un alternatore nuovo continuerà comunque a costare una follia), non sbloccherà la crisi dell’editoria, non offrirà nuovi posti di lavoro per i giovani. Ma non costa nulla. Quindi, perché non prenderla come impegno per il nostro lavoro di comunicazione?
#AltraEstate #AltroAlternatore #AltraGentilezza

Ultima modifica: Lun 27 Ago 2018