#AltraEstate/12 - Con le vittime dell'usura per ascoltare, comprendere, raccontare. Per essere giornalisti.

Usura”. È una parola che si fa fatica a pronunciare. I primi ad avere questa resistenza sono proprio le vittime stesse dell’usura, le quali preferiscono parlare di “prestito” al posto di usura e di “amici” o addirittura di “benefattori” anziché di usurai. Esiste una grave lacuna di comunicazione, sia sul versante interpersonale, sia sotto quello della comunicazione di massa.

La tragica esperienza dell’usura è alla periferia del mondo della comunicazione, su di essa regna quasi il silenzio assoluto. Le motivazioni alla base possono essere molteplici, certamente perché non si ha la reale percezione della complessità e della dimensione del fenomeno.

Eppure le vittime di usura avrebbero un mondo di esperienze umane e sentimentali da raccontare. Non si lasciano intervistare con facilità, ma quando si riesce a trovare la chiave giusta per entrare nella loro sfera più intima hanno tanto da dare, da trasmettere. Inizia per loro un percorso di liberazione intenso e molto faticoso. Sono spesso storie di vita intricate, dure, che hanno dell’incredibile, sono quasi romanzesche, di persone che hanno toccando davvero il fondo, fino alla disperazione. Il loro racconto è come un fiume in piena travolgente, difficile da fermare, che trascina con sé di tutto.

Chi accoglie la loro testimonianza non resta indifferente, resta coinvolto, impigliato in quelle storie difficili e spietate che affondano e scavano in profondità. Anche scrivere le loro storie stanca e sfinisce fisicamente e psicologicamente, richiede un lavoro di selezione, cucitura e ricostruzione di fatti, sentimenti e accadimenti.

Man mano che le vittime si raccontano e si accorgono dei benefici del loro ‘essere testimonianza’ travolgono l’ascoltatore in tutto il turbinio di malessere in cui sono finiti, fatto di rancore, odio, amarezza, desiderio di vendetta nei confronti di chi li ha usati e sfruttati. Alla fine però affiorano i sentimenti di amore per il prossimo, per la giustizia, per la verità. Anche per la provvidenza e per chi ha teso loro una mano, perché quasi tutti almeno una volta hanno incontrato una spalla su cui piangere, una mano a cui aggrapparsi.

La fatica legata ad ore di ascolto, di riflessione è un’esperienza che un giornalista dovrebbe fare almeno una volta. Essere matita nelle mani di persone che per tanti anni sono state costrette nel silenzio insegna tanto, ad ascoltare, a filtrare, a non giudicare. A essere giornalista.

Michela Di Trani, ha scritto due pubblicazioni sul tema. Nel 2015“Usura, Paura e Misericordia”, ed. Gelso Rosso. A giugno del 2018 è uscito il suo ultimo libro “Il Riscato-Fuori dal tunnel dell’usura”. In questa nuova esperienza editoriale la giornalista si pone l’obiettivo di far emergere dal silenzio e dal sommerso la piaga dell’usura strettamente connessa al mondo dell’azzardo e della criminalità. Per raggiungere questo obiettivo l’autrice ha scelto di dare voce a una persona che è stata imbavagliata dal terrore, dalla rabbia, dalla delusione e anche dall’odio. Un silenzio che lo ha visto logorare i legami familiari, la fede e il dialogo con se stesso. Ha scavato nel profondo del proprio essere fino ad annientare l’amore per la propria stessa vita. La trappola dell’usura si conferma, nel testo di Michela Di Trani, non solo sommersa, ma anche insidiosa. Ci sfiora tutti nel quotidiano e non ce ne accorgiamo, in essa sono coinvolti tutti i ceti sociali socio-economici. Possono essere vittime di usura e usurai le persone a noi più insospettabili.
Il protagonista è un giovane che la Fondazione Antiusura San Nicola e Santi Medici di Bari hanno guidato sulla via della riscoperta della propria dignità, della verità, della legalità e della giustizia, tramite la denuncia. Un cammino lungo, faticoso e coraggioso che lo ha portato senza non pochi sacrifici a riprendersi la sua vita, la sua famiglia e il suo futuro. Nicola mentre si racconta soddisfa la sua grande fame di verità, giustizia e speranza. La sua vita si era impregnata di malaffare, la sua anima si era avvilita, sino a non ritenersi più in grado di vivere dignitosamente la propria esistenza e l’amore di suo figlio e dei suoi cari.

Ultima modifica: Gio 30 Ago 2018

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