'Aiutiamoci a casa nostra'. Il caso Calabria.

Il nostro #deskdelladomenica, all'indomani dell'a presentazione del nuovo rapporto sull'immigrazione, ci fa riflettere su un altro modello di accoglienza possibile, attuato in Calabria. L'articolo di Loredana Cornero (Segretaria Generale della Comunità Radiotelevisiva Italofona) è tratto dal numero di Desk dedicato al 'racconto giornalistico' del fenomeno migratorio. 

Loredanaa Cornero (2017)

«E da Genova in Sirio partivano/per l’America varcare, varcare i confin/e da bordo cantar si sentivano/tutti allegri del suo destin./Urtò il Sirio un terribile scoglio,/di tanta gente la misera fin:/padri e madri abbracciava i suoi figli/che sparivano tra le onde, tra le onde del mar...».

Il piroscafo veloce Sirio parte da Genova il 4 agosto 1906 diretto in Brasile, via Gibilterra, in una bella giornata di sole. Cabine di lusso per la prima classe, decorose per la seconda ed enormi camerate per gli emigranti in terza classe. E chissà quanti clandestini nascosti nelle stive, ammassati, senza documenti. Sulle coste della Spagna meridionale la tragedia. Un urto violento, si parla di 292 morti. In realtà, è probabile che le vittime siano state molte di più, circa 450, in maggioranza italiani, emigranti e clandestini, partiti per cercare fortuna in Argentina e Brasile.
Tra la metà dell’Ottocento e il 1930 circa 50 milioni di italiani abbandonarono la terra e le famiglie per cercare fortuna nelle Americhe.
E la tragedia del Sirio non fu la sola: nel 1927 il piroscafo Principessa Mafalda affondò in vista della costa brasiliana: 314 morti secondo le autorità italiane, 657 secondo dati riportati dai giornali sudamericani. Tutti italiani, per lo più piemontesi, liguri e veneti. Sempre davanti alle coste del Brasile, 446 emigranti italiani morirono nell’affondamento dell’Arandora Star.

Quando gli emigrati eravamo noi
Ai nostri giorni, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha stabilito alcuni criteri per tentare di calcolare il numero dei morti e dei dispersi nel Mar Mediterraneo, confrontando fonti della Guardia Costiera e della Marina militare italiana, le testimonianze dei superstiti, le notizie diffuse da media o dalle Ong. Partendo dalla strage del 3 ottobre 2013 al maggio 2017 al largo di Lampedusa, si calcolano 14.785 morti e dispersi.
Oggi, quando si parla di sbarchi e di migranti si parla del nostro Mediterraneo, del nostro sud, della Sicilia, di Lampedusa, di Pozzallo, ma anche degli approdi calabresi come Crotone o Reggio Calabria. Sulle coste della Calabria, dal 2011 alla fine del 2016 ci sono stati 707 sbarchi e 31.450 sono state le persone che hanno raggiunto gli approdi. E mentre in Italia negli ultimi cinque anni i migranti sono aumentati del 189,4%, in Calabria sono cresciuti del 1.517,8%. Si tratta di una crescita particolarmente elevata, che rivela le grandi difficoltà che il sistema di accoglienza della regione ha dovuto affrontare.

Una ricerca sul caso Calabria
Di questi temi tratta “La nuova scommessa della Calabria: trasformare i flussi dal Mediterraneo in piattaforme di relazionalità”, un’interessante ricerca del Censis sull’emergenza della migrazione nel nostro mare. La scommessa che si pone è quella di leggere i dati non come una mera conta di morti affogati né unicamente come un grave disagio per il nostro Paese e neanche come una catastrofe per la nostra economia quanto, piuttosto, pur non nascondendo le difficoltà e i problemi, come un’opportunità. E lo fa parlando di una regione difficile, aspra, spesso abbandonata e dimenticata: la Calabria.

Un’analisi che parte da un interrogativo di fondo: «È ancora possibile scommettere sulla capacità del Mezzogiorno e della Calabria in particolare, di integrarsi e di far fronte comune con gli altri Paesi del Mediterraneo, in una logica di riequilibrio e di multipolarità degli assi verso l’Oriente e verso il Sud del mondo

Nessuno ovviamente nega le difficoltà che gli sbarchi e l’arrivo dei migranti pongono al nostro sistema di accoglienza e di integrazione, sia a livello nazionale che all’interno dei singoli territori, ma l’analisi riflette sull’emigrazione come risorsa, sul contributo che i migranti forniscono al Paese e alla Calabria in particolare, non soltanto dal punto di vista demografico, ma anche da quello del lavoro e del reddito «perché ꟷ spiega il rapporto ꟷ le opportunità non si sono esaurite e perché anche i nuovi arrivi (specie in Calabria) possono trasformarsi da problemi in volani di crescita per il nostro Paese».

Quanto al tema più usato e abusato, quello che riguarda i migranti che verrebbero a rubare il lavoro agli italiani, vediamo che in Calabria, come del resto in tutta Italia, i migranti svolgono mansioni poco qualificate, quelle che da tempo gli italiani disdegnano: lavoro agricolo, di cura e di assistenza agli anziani. Il 10% del totale degli imprenditori è rappresentato da stranieri nel commercio e nella ristorazione. E mentre i dati del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca parlano di 100mila alunni in meno tra il 2015 e il 2017, il bilancio tra dare e avere in Calabria risulta essere a favore degli italiani anche nella scuola: senza alunni stranieri si perderebbero circa 1.400 insegnanti, naturalmente tutti italiani.

L’accoglienza non è cosa semplice né facile, ma una buona pratica riconosciuta a livello internazionale è il sistema di accoglienza Sprar, fatto proprio da molti comuni calabresi, dove esistono ben 97 progetti. Alla base, oltre alla posizione come primo approdo sul Mediterraneo, la consapevolezza degli amministratori locali che l’accoglienza rappresenta un’occasione per costruire un circuito virtuoso in cui la solidarietà e l’inclusione rappresentano anche opportunità di lavoro e di reddito per la popolazione locale.

Esperienze virtuose
Il caso più esemplare è quello del comune di Riace, in provincia di Reggio Calabria, che ha saputo far fronte ai problemi di spopolamento della popolazione locale rivitalizzando il centro storico e trasformandolo in una meta turistica. Nel 1998 sbarcano a Riace Marina duecento profughi dal Kurdistan e vengono messe a loro disposizione le case abbandonate dai proprietari, italiani emigrati da anni in cerca di lavoro. Al 1° gennaio 2016, nel comune di Riace risiedevano 2.238 abitanti, con una crescita del 23% negli ultimi cinque anni, mentre la popolazione italiana aumentava del 2,1% e quella calabrese dello 0,6%. Si tratta di percentuali straordinarie, dovute alla presenza di circa 500 rifugiati venuti dal Sudan, dall’Eritrea, dall’Etiopia, dalla Palestina e dall’Afghanistan, e che hanno mantenuto in vita un borgo che si era ridotto a 400 abitanti. Donne, uomini, bambini che hanno imparato l’italiano e un mestiere, che vanno a scuola o lavorano, che hanno messo su famiglia e che praticano le loro religioni nel rispetto di ognuno e di tutti.
Tutti, ad eccezione dei minori che abitano alloggi collettivi, vivono in piccoli appartamenti in affitto. A questi si aggiungono gli stranieri che negli anni hanno scelto di fermarsi a Riace. Grazie agli immigrati si sono mantenuti i servizi commerciali, si sono riaperti la scuola elementare e l’asilo nido, create attività imprenditoriali legate all’artigianato, laboratori tessili e di ceramica, del cioccolato, di falegnameria, del vetro, ma anche bar e panetterie, una fattoria didattica e la raccolta differenziata porta a porta, garantita da due ragazzi stranieri attraverso l’utilizzo di asini. Circa 80 persone lavorano nei progetti per l’integrazione dei richiedenti asilo e sempre più giovani riacesi scelgono di restare nel loro paese. Nel 2016 il sindaco Mimmo Lucano è stato inserito dalla rivista americana Fortune nella classifica dei cinquanta personaggi più influenti del mondo e la favola di Riace “Il signor sindaco e la città futura”, realizzata dal fotografo Gianfranco Ferrero, è esposta alla Biennale di Venezia 2016.

Nel 1997 arrivò a Marina di Badolato la nave Ararat con oltre 800 curdi e la popolazione locale si mobilitò per fornire assistenza e accoglienza ai nuovi arrivati ripopolando le case del centro storico, svuotate dall’emigrazione italiana degli ultimi cinquant’anni, con gli ospiti arrivati via mare. Il progetto di accoglienza di Badolato è stato presentato come buona pratica al Parlamento europeo, è stato finalista del “World Habitat Award”, che premia le esperienze che risolvono i problemi di chi è senza dimora. Nel 2010 il regista Wim Wenders ha scelto Badolato e Riace come ambientazione del cortometraggio “Il volo”, per testimoniare la storia della vera accoglienza da parte dei comuni della Locride. Il cortometraggio è interpretato, oltre che dai personaggi autentici, da Ben Gazzara e Luca Zingaretti.

È come un film anche la vicenda di Gagliato, piccolo comune calabrese delle Preserre in provincia di Catanzaro. Una vicenda di emigrazione e di ritorni.
Mauro Ferrari, padovano, è uno scienziato italiano impegnato principalmente nella ricerca sulle nanotecnologie. Dopo l’università si sposta negli Usa, anche lui un emigrante o, come si dice oggi, un expat, un cervello in fuga. Oggi, scienziato di fama internazionale, è presidente del Methodist Research Institute di Houston. L’incontro con la Calabria avviene in maniera occasionale, invitato da Salvatore Venuta, rettore e fondatore dell’Università della Magna Graecia, per collaborare ad alcuni programmi di ricerca. Mauro Ferrari e la moglie Paola prendono casa a Gagliato e nel 2008 invitano alcuni amici per discutere di scienza e nanotecnologie. Arrivano leader mondiali nel campo delle nanotecnologie, che partecipano a quattro giorni di dibattiti scientifici in un contesto informale e familiare, talmente affascinante che nel 2009 nasce l’associazione non profit Accademia di Gagliato delle Nanoscienze per l’organizzazione di conferenze e attività collegate. E per coinvolgere anche i più piccoli arriva


NanoPiccola, ovvero La Piccola Accademia di Gagliato, dedicata alla educazione informale nel campo delle nanotecnologie dei ragazzi dai 4 ai 18 anni e parte della serie NanoDays sviluppata dal Nise (Nanoscale Informal Science Education) degli Stati Uniti. Circa un centinaio di bambini della zona partecipa a questo festival che comprende giochi, presentazioni e incontri con gli scienziati. Gli appuntamenti continuano durante tutto l’anno con collegamenti mensili in videoconferenza per mantenere vivo l’interesse dei più piccoli. Nel 2016 Gagliato e l’esperienza della Accademia delle Nanotecnologie sono menzionate nel Global Report Unesco sulla “Cultura per lo sviluppo urbano sostenibile”. Così Gagliato, piccolo borgo sulle alture di Soverato segnato da emigrazione e partenze, sconosciuto a gran parte degli italiani, è diventato noto e familiare tra i massimi esperti di nanotecnologie di tutto il mondo.
Di borghi parla anche “Quel che resta, l’Italia dei Paesi tra abbandoni e ritorni” di Vito Teti, anche lui, guarda caso, calabrese, docente di Antropologia culturale presso l’Università della Calabria.

Eventi naturali, frane, terremoti, malattie, epidemie, hanno reso inospitali molti paesi, già costruiti in zone isolate o impervie, in zone montuose come i nostri Appennini, con grandi difficoltà di collegamenti. Tutte queste concause, unite a problemi politici, culturali, di mancanza di visione strategica, hanno fatto sì che paesi concentrati soprattutto nella parte interna dell’Italia, al Centro-Sud ma non solo, siano diventati borghi in cui vivono poche centinaia, a volte poche decine di persone, spesso per lo più anziane.
E cos’è quel che resta nello spopolamento dei borghi, cosa rimane dietro alle partenze degli emigrati, dei giovani, dei cervelli in fuga, dei disoccupati, dei viaggiatori?
Restano le mura, le case abbandonate, le scuole chiuse, le piazze deserte, ma anche uomini e donne. Che rimangono con una missione da portare avanti: quella di essere i nuovi viaggiatori, i nuovi esploratori. Di un mondo in cui i nuovi cittadini arrivano da fuori. Da fuori arrivano non quelli che viaggiano ma quelli che scappano, portando con sé tutto “quel che resta” del loro mondo andato in fiamme, dice Vito Teti.

Allora, quel che resta è ancora moltissimo. Resta il tentativo di reinventare i luoghi con l’aiuto di queste partenze e di questi arrivi, di prendersi cura del borgo con i vecchi e i nuovi cittadini, di riproporre una civiltà dell’incontro con l’altro, sul limes della frontiera anche attraverso festival delle migrazioni, come quello di Paludi, di Cataforio, di Acquaformosa. Momenti di riflessione e di ascolto, il tentativo di proporre pratiche di accoglienza e integrazione che possano diventare possibilità di crescita, di sviluppo, di democrazia, di concordia, di pace in tutta l’area euromediterranea. Come scrive Claudio Magris, «c’è una profonda partecipazione al destino nomade e ramingo non solo degli emigranti partiti con le loro povere cose, ma di ognuno, delle stesse civiltà, del loro nascere e passare, ma forse mai definitivamente».

Ultima modifica: Lun 1 Ott 2018