Interessa ancora la verità?

Proprio nei giorni in cui viene annunciato il tema della prossima Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali (vedi qui), noi rileggiamo questo intervento di Guido Mocellin sulla nostra rivista Desk uscita in primavera. Vi si analizza il messaggio di quest’anno, può essere utile rifletterci ancora in occasione del nostro #deskdelladomenica

Guido Mocellin (2018)

Ho scritto il 25 gennaio scorso su Avvenire, a proposito del Messaggio di papa Francesco per la LII Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, che, pur considerandomi, per evidenti motivi, un «cultore della materia», raramente mi sono sentito così interpellato dall’annuale appuntamento pontificio con il lavoro giornalistico come quest’anno. E non mi pare di essere stato il solo, se penso agli scambi di opinione, personali e digitali, che ho avuto con tanti colleghi.

La lettura che il documento offre del fenomeno delle fake news, definite come «informazioni infondate, basate su dati inesistenti o distorti e mirate a ingannare e persino a manipolare il lettore», è tanto lucida da non temere il confronto con le molte analisi lette e udite negli scorsi mesi, e alle quali l’Ucsi ha dato numerosi e qualificati contributi.

Si può dire che la parola-chiave che vi ricorre è «disinformazione»: e allora vengono subito in mente, tra i precedenti dello stesso Francesco, le espressioni che egli utilizzò nell’intervista al settimanale belga Tertio (dicembre 2016), quando, interpellato genericamente intorno ai mezzi di comunicazione, concentrò la sua risposta sulle «loro tentazioni», tutte aventi a che fare con la diade vero/falso. Parlò infatti della «calunnia», con cui «si dice una bugia sulla persona»; della «diffamazione», dove «si scopre qualcosa che è vero ma che è già passato», e «portare questo alla luce oggi è grave, fa danno, si annulla una persona!»; e appunto della «disinformazione», che spiegò così: «di fronte a qualsiasi situazione dire solo una parte della verità e non l’altra. Questo è disinformare. Perché tu, all’ascoltatore o al telespettatore dai solo la metà della verità, e quindi non può farsi un giudizio serio», aggiungendo che «è probabilmente il danno più grande che può fare un mezzo, perché orienta l’opinione in una direzione, tralasciando l’altra parte della verità».

Le espressioni presenti nel messaggio pontificio per descrivere le fake news sono più tecniche, più ponderate, più consapevoli alle dinamiche di «un contesto di comunicazione sempre più veloce e all’interno di un sistema digitale».

Si dice che «la loro diffusione può rispondere a obiettivi voluti, influenzare le scelte politiche e favorire ricavi economici»; si sottolinea che sono efficaci grazie alla loro «natura mimetica» e grazie all’omogeneità degli ambienti digitali in cui le persone interagiscono (si capisce che parla del fenomeno delle echo chambers). Ma quando conclude che «il dramma della disinformazione è lo screditamento dell’altro, la sua rappresentazione come nemico, fino a una demonizzazione che può fomentare conflitti», e che «le notizie false rivelano così la presenza di atteggiamenti al tempo stesso intolleranti e ipersensibili, con il solo esito che l’arroganza e l’odio rischiano di dilagare», si ha la conferma che la preoccupazione di Francesco per questo fenomeno è veramente grande.
Tanto è vero che a tale lettura «tecnica» si accompagnano riferimenti forti ai tratti fondanti della fede cristiana, giacché si evoca la «logica del serpente» all’opera nel terzo capitolo della Genesi, «artefice della prima fake news». Da questa attualizzazione di uno dei più famosi episodi biblici il Papa trae la conclusione che «nessuna disinformazione è innocua: anzi, fidarsi di ciò che è falso produce conseguenze nefaste. Anche una distorsione della verità in apparenza lieve può avere effetti pericolosi».

Viene in mente un caso che ha riguardato direttamente proprio papa Francesco: in riferimento a una notizia falsa che lo riguardava, ovvero l’attribuzione di un testo, mai pronunciato, di carattere sincretista, alcune fonti giornalistiche commentarono la smentita ufficiale fornita dalla Sala Stampa della Santa Sede argomentando che la verosimiglianza di questa fake era la riprova del modo in cui l’opinione pubblica, ecclesiale e non, recepisce gli insegnamenti di questo Papa: anche se non l’ha detto – questa grosso modo la loro tesi – avrebbe potuto dirlo.

Con questo andamento, il Messaggio riconsegna al giornalista che cerca di ispirare a tale fede la propria etica professionale le più robuste motivazioni ad agire contro la disinformazione: a prevenire, riconoscere, identificare, svelare, arginare, contrastare, difendersi, liberarsi (tutti verbi tratti dal documento). A considerarsi, in una parola, responsabile.

Ed è qui che Francesco formula la convinzione a mio parere più sorprendente del Messaggio e più bisognosa di essere discussa e approfondita, in un contesto di mediaetica. Egli infatti, dopo aver spiegato che «per discernere la verità occorre vagliare ciò che asseconda la comunione e promuove il bene», afferma che «un’argomentazione impeccabile può (...) poggiare su fatti innegabili, ma se è utilizzata per ferire l’altro e per screditarlo agli occhi degli altri, per quanto giusta appaia, non è abitata dalla verità», per poi spiegare, un po’ meno radicalmente, che è dai frutti che «possiamo distinguere la verità degli enunciati: se suscitano polemica, fomentano divisioni, infondono rassegnazione o se, invece, conducono a una riflessione consapevole e matura, al dialogo costruttivo, a un’operosità proficua». Di nuovo suggerisco di mettere in relazione a tale sua raccomandazione un altro passaggio dell’intervista a Tertio, quando descriveva come ultima tentazione dei media quella di «cadere – senza offesa, per favore – nella malattia della coprofilia, che è voler sempre comunicare lo scandalo, comunicare le cose brutte, anche se siano verità».

La raccomandazione a «riconoscere il male che si insinua in una comunicazione che non crea comunione», a «togliere il veleno dai nostri giudizi» e a «parlare degli altri come di fratelli e sorelle» è ribadita nella chiusura del Messaggio del 2018, all’interno del suo aspetto di maggior novità: il fatto che Francesco offra, a sostegno delle sue attese verso i giornalisti e l’intero sistema dei media posto a confronto con le fake news, una preghiera, di ispirazione francescana, «alla Verità in persona». Sono andato indietro con la memoria e anche con il mouse – giacché i messaggi pontifici per la Giornata sono tutti online sul sito di documentazione della Santa Sede, tuttora accessibile all’indirizzo w2.vatican.va, anche attraverso il nuovo portale Vatican News – : spesso, naturalmente, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno assicurato le proprie e raccomandato le nostre orazioni in vista della Giornata delle comunicazioni sociali, ma né loro né lo stesso Francesco, nei messaggi precedenti a questo, ci avevano ancora offerto una specifica «preghiera del giornalista».

Mettiamola tra i «preferiti», come ha suggerito la pagina Facebook di Avvenire, e teniamocela cara.

* Guido Mocellin è l’autore della rubrica WikiChiesa Avvenire

Ed ecco la preghiera composta da papa Francesco:

Signore, fa’ di noi strumenti della tua pace.
Facci riconoscere il male che si insinua in una comunicazione che non crea comunione.
Rendici capaci di togliere il veleno dai nostri giudizi.
Aiutaci a parlare degli altri come di fratelli e sorelle.
Tu sei fedele e degno di fiducia; fa’ che le nostre parole siano semi di bene per il mondo:
dove c’è rumore, fa’ che pratichiamo l’ascolto;
dove c’è confusione, fa’ che ispiriamo armonia;
dove c’è ambiguità, fa’ che portiamo chiarezza;
dove c’è esclusione, fa’ che portiamo condivisione;
dove c’è sensazionalismo, fa’ che usiamo sobrietà;
dove c’è superficialità, fa’ che poniamo interrogativi veri;
dove c’è pregiudizio, fa’ che suscitiamo fiducia;
dove c’è aggressività, fa’ che portiamo rispetto;
dove c’è falsità, fa’ che portiamo verità.
Amen.

Ultima modifica: Dom 7 Ott 2018